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C’è un grande scienziato in Vaticano2020-03-31T10:34:08+02:00

C’è un grande scienziato in Vaticano

Febbraio 2008

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Il Magistero cattolico deve essere assolutamente certo di non correre rischi di sorta se da qualche tempo ha scelto di intervenire con una tranquillità quasi sfacciata nei problemi della vita politica italiana. Pochi giorni or sono l’Avvenire ha consigliato (ma si tratta di consigli pesanti) all’onorevole Berlusconi di usare toni meno aspri e ultimativi con il povero Casini, s’avesse mai a vedere che un partito di provata ispirazione cattolica dovesse restare fuori dalle stanze nelle quali si esercita il potere ….. Dietro a questa operazione politica c’è – lo trovo scritto su molti giornali e non ho letto smentite – il cardinale Ruini: la cosa non sembra turbare nessuno, ormai ci siamo abituati, è la vecchia opzione di Mitridate per abituarsi ai veleni.

Tanta sicurezza ha precise motivazioni; da molti anni, ormai, con un crescendo rossiniano che si è fatto più e più tambureggiante con l’avvento al soglio del nuovo pontefice, il Vaticano ha iniziato la sua ultima crociata, intesa a ristabilire, nel nostro povero paese, le regole ferree che sembravano traballare un po’ a causa di una poco credibile, mai stabilizzata, secolarizzazione. I temi sono quelli citati dal papa in un recente discorso ai parlamentari del partito popolare europeo: la vita nascente, la famiglia, la scienza, la sacralità dell’esistenza, tutti argomenti sui quali non possumus (sono parole del pontefice), proprio non possiamo dialogare. Temo che l’elenco sia incompleto, quelli sui quali in realtà possumus non li ha elencati.

Non mi sento di prendermela più che tanto con il Pastore tedesco, fa il suo mestiere, ci mancherebbe. Dico solo che tutte le invasioni di campo sono facili quando non si trova nessuno che opponga la benché minima resistenza: trovo addirittura imbarazzante dover registrare un così alto numero di “sindromi della lordosi di accettazione” tra i cosiddetti “laici”, dai quali non ho sentito levarsi neppure un timido gridolino di protesta malgrado la durezza delle bastonature ricevute.

Quando una organizzazione che si è costituita per esercitare il potere ha fortuna, quando è facile intuire che vincerà perché nessuno si azzarda a contrastarla, trova alleati, è naturale e umano. In questa fattispecie la cosa è stata un po’ meno naturale – ma certamente umana sì – perché gli alleati più forti e utili se li è andata a pescare proprio tra quelle che in teoria dovevano essere le fila nemiche, un gruppo di laici ambiziosi e prepotenti che si sono affrettati a vendere l’anima a dio e che per fortuna perdono molto tempo a calcolare i futuri proventi, la mercé che spetterà loro di diritto. Le prossime elezioni, così vicine, così temute, hanno accelerato la ritirata dei laici, i quali, per quanto mi è stato possibile capire, sembrano decisi ad attestarsi su una linea estrema di resistenza che dovrebbe comprendere anche (ci sono voci di dissenso, ma ci sono anche consensi in campo nemico) il diritto alla masturbazione libera e responsabile. Speriamo. Intanto provo a fare il punto su questa crociata e su almeno alcuni dei temi che essa sembra prediligere, quasi tutti argomenti che, guarda un po’, hanno a che fare con la sessualità e con il corpo femminile.

La prima cosa che desidero sottolineare è la rara irrazionalità di questo contemporaneo attacco alla contraccezione e all’aborto, in nome di una “dignità della procreazione” alla quale sembra credere un numero sempre più piccolo di fedeli. C’è un episodio abbastanza interessante che vale la pena di essere raccontato, una storia che riguarda l’attribuzione di poteri embrionicidi (occisivi, sembra essere il più recente vocabolo cattolico) al levonorgestrel, la pillola del giorno dopo in vendita anche il Italia. Questo tema è stato affrontato dal Comitato Nazionale per la Bioetica nel 2004 e discusso per un anno intero. Argomento della disputa era il meccanismo d’azione di questo ormone: secondo gli scienziati cattolici presenti nel Comitato, la pillola aveva certamente un effetto di inibizione dell’impianto dell’embrione, la cui conseguenza era inevitabilmente la morte del prodotto del concepimento, uno di noi, una persona. Dunque una pillola omicida. Ho passato un anno intero a raccogliere bibliografia per dimostrare che questo effetto assassino non era mai stato dimostrato, mai e da nessuno, che non c’erano evidenze dirette del meccanismo d’azione e che quelle indirette sembravano piuttosto dimostrare un effetto di inibizione dell’ovulazione e della fecondazione degli oociti. La bibliografia che ho continuato a mandare al Comitato per tutto il tempo non è mai stata presa in considerazione e il Comitato ha finito con l’approvare un documento che ammette la possibilità che un medico si appelli alla clausola di coscienza, quando non intenda prescrivere o somministrare il levonorgestrel a causa dei suoi possibili effetti di inibizione dell’impianto embrionario, a prescindere dall’esistenza di disposizioni normative riguardanti il problema in oggetto. Il documento chiama in causa anche il codice deontologico dell’Ordine dei Medici nella parte in cui afferma che il medico può rifiutare la sua opera qualora gli vengano richieste prestazioni che contrastano con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico. Letto, firmato e sottoscritto, come se la medicina fosse una scienza esatta e non basasse le sue momentanee verità sui consensi, che, come tutti sappiamo, cominciano a vacillare fin dal momento in cui si sono coagulati per la prima volta.

Accade così che nel settembre del 2007 il Karolinska Insitutet di Stoccolma, uno dei centri di ricerca scientifica più avanzati d’Europa, pubblica le conclusioni di una ricerca “in vitro”, fatta utilizzando embrioni umani, che dimostra che il levonorgestrel non interferisce con l’impianto dell’embrione, non è un assassino, non è occisivo. E’ la prima ricerca sperimentale diretta, e lascia pochi spazi alle incertezze. Ho chiesto a un ricercatore svedese di spiegarmi le ragioni per cui lo studio è stato fatto direttamente su embrioni umani: non si aspettava la domanda, ha avuto qualche esitazione, poi mi ha detto che probabilmente non c’erano altre vie per convincere i medici cattolici dell’innocenza della pillola del giorno dopo. Dunque, secondo questa versione i ricercatori cattolici dovrebbero sentirsi responsabili del sacrificio di questi embrioni, una versione dei fatti tra il paradossale e il crudele ma non priva di un suo perverso umorismo. Il vero problema però sta nel fatto che sembra che questa pubblicazione l’abbia letta solo io, laddove sarebbe stata seria e ben accetta una presa di posizione del Comitato, con tanto di scuse alla pillola del giorno dopo, che le aspetta ancora. Come si vede, non sembra facile essere insieme buoni scienziati e buoni cattolici.

L’aggressione alla legge 194, quella che regola l’interruzione volontaria della gravidanza, in verità non si è mai arrestata, fin dal primo giorno dell’approvazione della legge: ha preso, però, strade diverse, più o meno tortuose, più o meno esplicite. Attualmente il suo trampolino di lancio è stata una richiesta di “moratoria”, una provocazione evidente e infelice che ha creato un offensivo parallelismo tra l’aborto e la pena di morte. Poiché l’iniziativa appartiene di diritto ai fiancheggiatori del Vaticano, coloro che – si dice – avrebbero venduto l’anima a dio, ho cercato a lungo di capire se oltre a quanto di chiaramente surrettizio c’era nella iniziativa, era possibile intravedere un motivi più segreto e più sincero, qualche sorta di dolore non sopito che era tornato a galleggiare e reclamava di essere sanato. Mi par di aver capito che questo motivo segreto potrebbe essere riconosciuto, almeno per uno di questi signori, in una serie di episodi della giovinezza, storie ripetute di ragazze ingravidate che avevano deciso di abortire privandolo dei suoi diritti di padre potenziale. A mio parere bisognerebbe istituire tribunali femminili per giudicare questi uomini disattenti.

Attualmente l’attacco alla legge 194 ha preso vie inusuali e ancor più contorte del solito. I medici delle Cliniche ostetriche di Roma hanno votato un documento nel quale si affermano principi non nuovi né interessanti ma molto utili per rinfocolare la polemica anti-abortista: tutti i feti, quale che sia il loro peso e quale che sia la settimana di sviluppo, debbono essere rianimati se nascono vivi (dei nati morti il documento non parla, immagino che per un pronunciamento sui miracoli l’Università di Roma non si senta ancora pronta); l’opinione delle madri di questi bambini non deve essere tenuta in conto.

Anche se i medici romani lo negano, la vera ragione di questo intervento ha a che fare con le interruzioni di gravidanza eseguite dopo il 90° giorno, quelle autorizzate dai medici per problemi di malformazioni del feto o per rischi per la salute fisica o psichica della madre. Nell’immaginario cattolico si prospetta la possibilità che uno di questi bambini nasca vivo, alla faccia della protervia dei genitori e del medico, e che non gli venga prestata la dovuta assistenza. I ginecologici romani – ma sarebbe più giusto dire “una parte dei ginecologi romani” hanno fatto uscire il documento, con rara tempestività, proprio in concomitanza con l’ennesima giornata cattolica in favore della vita. Sepolti dalle critiche, si sono mostrati stupiti e hanno replicato di essere, soprattutto, laici: anzi, “superlaici”. Insomma, laicisti.

La prima cosa che mi sento di obiettare è che i tentativi di rianimazione dei feti nati prematuramente debbono essere fatti solo dopo aver valutato attentamente ogni singolo caso: inutile, ad esempio, tentare una rianimazione alla 22ma settimana quando non c’è speranza concreta di sopravvivenza; molto discutibile alla 23ma quando inizia qualche pallida chance, ma con grandi rischi di gravi handicap; non vedo molto senso nel tentare di rianimare un feto anencefalico, privo di cervello, o affetto da agenesia renale; mi chiedo se non sarebbe anche opportuno parlare del paese reale e non fare proclami generali e generici, come se l’assistenza medica a Pocapaglia Montana fosse la stessa che qualche cittadino fortunato può trovare a Roma (forse) o a Milano (certamente). Il rischio è l’accanimento terapeutico, che non è solo un problema morale: si priva dell’assistenza (i letti di terapia intensiva sono costosissimi e scarseggiano ovunque) feti con ben altre speranze di sopravvivenza occupando letti che sarebbero loro di diritto con sfortunate creature senza speranza, e mi sembra un rischio di non poco conto.

La seconda obiezione la muovo alla scelta di dar fiato alle trombe dopo aver approvato un documento assolutamente inutile, almeno per la sua parte predominante. La legge 194 chiarisce già senza ombra di dubbio le stesse identiche cose e le dice anche un po’ meglio (ma per trovare un ginecologo che sappia scrivere in buon italiano bisogna risalire al secolo scorso). Ecco cosa si legge nella parte della normativa che regola i comportamenti che debbono essere osservati quando i feti hanno raggiunto la capacità di vita autonoma:
“Quando l’interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente pericolo per la vita della donna l’intervento può essere praticato anche al di fuori delle procedure previste…. Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto , l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 ( cioè quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna) e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”.

Dunque, in queste circostanze non si può chiedere di interrompere una gravidanza perché il feto è portatore di una malformazione o perché la donna ha un problema psicologico, valgono solo le minacce più gravi per la sua salute fisica, quelle che mettono a rischio la sua stessa vita, il che significa che si configura uno stato di necessità, una condizione che fa tacere tutte le altre regole e che valeva –unica – per interrompere le gravidanze prima dell’approvazione della legge 194. E’ logico che in una circostanza come questa la prima persona a implorare che si faccia di tutto per salvare il bambino sarà sua madre, così come è logico che il medico cercherà di dilazionare l’intervento in modo da offrire al feto le migliori possibilità di sopravvivenza. Stando così le cose, mi permetto di definire questa parte del documento di una parte dei ginecologi romani pura aria fritta.

Purtroppo è la seconda parte del documento a meritare le critiche più severe, sarebbe stato troppo bello se i medici si fossero limitati a un po’ di aria fritta. Ed è questa la parte che mi ha sorpreso e che mi è anche particolarmente dispiaciuta. Per i ginecologi romani, la madre, i genitori, coloro che persino il senso comune più trito ci fanno considerare come i protagonisti veri di queste drammatiche vicende, non debbono essere neppure ascoltati, debbono restare fuori dalla stanza nella quale si prendono le decisioni che riguardano il loro bambino. Il documento assume a questo proposito toni di ipocrisia molto sgradevoli, perché allude ai tentativi obbligatori di rianimazione come a passaggi necessari per prendere tempo, per chiarirsi le idee, per poter portare al padre e alla madre un elaborato più concreto e verosimile per consentire loro scelte più razionali. In realtà, chiunque abbia un minimo di esperienza ospedaliera sa bene che gran parte di queste tragedie sono annunciate, perché riguardano donne portatrici di malattie croniche, di malformazioni uterine, di problemi clinici la cui conclusione prevalente è proprio quella del parto prematuro. Ancora ( ma perché?) aria fritta.

Vorrei che i ginecologi romani ragionassero su alcune semplici cose: sbattere fuori dall’uscio i genitori non è solo crudele e immorale, è anche stupido. La maggior parte delle terapie che vengono attuate dai rianimatori di questi feti sono sperimentali, anche perché non è possibile considerare un feto nato alla 24ma settimana come un ometto piccolo piccolo, per il quale valgono, fatti i debiti calcoli sui rapporti di peso, le stesse regole applicabili agli adulti. Immagino che tutti sappiano che le cure sperimentali debbono essere accettate dopo un consenso informato particolarmente scrupoloso e spero che nessuno pensi che possa essere lo stesso feto ad accettarle. Dunque sono i genitori i protagonisti di queste decisioni, e sono gli stessi genitori a dover dire la loro opinione sull’opportunità di rifiutare le cure, visto che è la nostra Costituzione a stabilire insieme il diritto di ogni cittadino a essere curato e a rifiutare le cure che gli vengono proposte.

In genere l’aria fritta è priva di effetti collaterali, ma questa volta qualche preoccupazione me la procura. Accade infatti che il primo intervento utile quando si voglia migliorare la prognosi –per la vita e per la salute – di un feto che ha cessato di crescere in utero e che dà segni evidenti di sofferenza, è quello di intervenire con un taglio cesareo. Mi chiedo dunque cosa potrà mai accadere se la madre rifiuterà di sottoporsi all’intervento, e mi chiedo in che termini il cesareo le sarà proposto. Mi chiedo quale sia il senso di imporre a una famiglia un nuovo figlio portatore di gravissimi handicap, una pianta che esige attenzioni e cure come se fosse un essere umano ma che di umano ha ben poco. Mi chiedo se la contrapposizione tra il principio della sacralità della vita e l’attenzione alla qualità della vita non sia giunto a una fine traumatica e non abbia vinto fraudolentemente il primo.

Molti colleghi mi hanno chiesto di interpretare per loro le ragioni di questa peculiare iniziativa dei ginecologi romani. Ho risposto che non può essere un caso che si tratti di medici universitari romani: le Università romane hanno sempre guardato con molta attenzione alla direzione del vento, e non può essere un caso che il vento spiri oggi, con forza, da capo Vaticano. Lo dimostra il fatto che il giorno dopo l’approvazione del documento, il Pontefice è entrato con forza in argomento dalla sua sede apostolica. Eolo?

Credo che tutti i lettori sappiano che la crociata cattolica non si ferma alla vita nascente, se ne infischia dell’unità di tempo e salta senza compassione dalla nascita alla morte. Per chi voglia leggere un capitolo interessante di questa storia infinita consiglio la lettura de documento sulla alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente del Comitato Nazionale per la bioetica e del successivo codicillo di noi poveri (e pochi) dissenzienti. Nel primo documento è ribadita la valenza umana della cura e ci si riferisce alla somministrazione di acqua e di cibo come a un segno di umanità e di solidarietà, un atteggiamento che assume un forte significato simbolico e sociale. In altri termini, l’idratazione e l’alimentazione di un malato agonico viene paragonata a un civile atto di compassione nei confronti di un amico bisognoso e affamato, un modo per testimoniare la nostra comune umanità, infilandogli un tubo nello stomaco e nutrendolo con i clisteri, che lui lo voglia o no. Ho amici, anche bisognosi, che non lo gradirebbero.

E’ ormai certo che l’Italia vive sotto il tallone di ferro della dittatura dell’embrione, una condizione che parrebbe giustificata dall’esistenza di una posizione teorica adamantina sull’inizio della vita personale, una di quelle costruzioni logiche di fronte alle quali anche il laicista più allenato, finiti i dubbi e le argomentazioni, trova conveniente cedere le armi. E’ così?

Non tornerò a descrivere la grande confusione che regna in proposito tra i filosofi e i teologi cattolici, che sono riusciti a elaborare un numero impressionante di teorie e a sostenerle tutte contemporaneamente, al punto che molti di noi vedrebbero di buon occhio l’arrivo di una semplificazione, anche dogmatica, qualcuno che finalmente dica che c’è mezza anima in ogni gamete e quando due di loro si incontrano (purché siano di differente sesso) le due metà si ricongiungono con slancio inarrestabile, là, è fatta. Il mio argomento questa volta non riguarda però la fragilità di una ipotesi che si annuncia come verità assoluta e razionale (un ossimoro), quanto la reale consistenza dei motivi che ne inducono la frammentazione.

Immagino che sia noto a tutti che il Paese nel quale la Chiesa cattolica ha esercitato più liberamente il proprio potere politico è l’Irlanda. Tra le molte cose che si possono citare a questo proposito, c’è il fatto che la Costituzione irlandese contiene un articolo nel quale si stabilisce che la vita nascente è protetta fin dal concepimento, più indietro di così naturalmente non si può andare. Ebbene nel 2002, avendo deciso di portare piccole modificazioni alla legge che sanziona penalmente l’aborto volontario, il Governo irlandese fece anche un tentativo di modificare la norma costituzionale in modo da spostare questa protezione al momento dell’impianto. Non è cosa di poco conto, ma immagino che il Governo irlandese sapesse cosa stava facendo: era una implicita autorizzazione delle sperimentazioni sull’embrione “in vitro”, che avrebbe potuto essere utilizzato per le produzione di cellule staminali e via così. Una norma costituzionale non si modifica facilmente, è necessario interrogare i cittadini, lo strumento come sapete è il referendum. Ebbene con sorpresa generale nel momento in cui si definirono gli schieramenti, si scoprì che a favore della modifica della Costituzione si erano schierati tutti i vescovi irlandesi. Non è cosa di poco conto, questa scelta deve aver sconvolto i loro colleghi romani che in proposito hanno idee del tutto diverse. E’ dunque necessario interrogarci sulle ragioni di una scelta così conflittuale, e delle molte ipotesi possibili ne cito due sole, un po’ più verisimili delle altre. La prima è che i vescovi irlandesi abbiano deciso di abbracciare la teoria del personalismo relazionale, sostenuta da molti bioeticisti evangelici e considerata con favore anche da qualche filosofo cattolico: secondo questa ipotesi, l’embrione diventerebbe persona e acquisterebbe pieno diritto alla stessa protezione della quale gode qualsiasi essere umano nel momento in cui, attraverso il contatto con il grembo materno, entra in relazione con l’umanità. La seconda ipotesi, pur essendo stata chiaramente enunciata nei giornali cattolici dell’epoca, è in realtà troppo malevola per essere credibile: l’episcopato irlandese avrebbe assicurato il suo appoggio al referendum (che comunque fallì) semplicemente in cambio di un favore (secondo i giornali che ho citato, il Governo si sarebbe impegnato a saldare il notevole debito contratto dalla Chiesa irlandese a seguito delle molte condanne per violenza a minori che i tribunali avevano comminato ai suoi sacerdoti, tutti crimini commessi tra il 1950 e il 1970 ma emersi solo dopo il 1990). Personalmente stento a crederci, ma è cronaca, la riferisco.

La crociata prende molte direzioni, usa differenti armi, si vale di espedienti e di astuzie di vario genere. A torto o a ragione, molta gente ne viene turbata e si spaventa. Si è spaventata la signora Turco, ministro della salute, che ha traccheggiato con le linee guida della legge 40 fino a perdere l’occasione di vararle. Ricordo: le precedenti sono scadute nell’agosto del 2007, di tempo ce ne è stato per correggerle. Tempo e motivazioni: tre sentenze, una delle quali del TAR del Lazio che ha addirittura stabilito che le linee guida in vigore sono, almeno nella parte che riguarda il divieto di indagini genetiche sull’embrione, illegittime. E’ probabile che la signora Turco abbia accolto con sollievo la caduta del Governo del quale pure era ministro, il cerino acceso si è spento da solo senza far danni alle sue dita.

Qualcuno si deve essere spaventato anche in altri uffici del Ministero della salute, visto che il mifepristone, la pillola abortiva che doveva essere approvata anche per il nostro Paese, sembra essersi perduto tra le scartoffie. L’aggressione a questo farmaco è stata esemplare: la pervicacia di alcune ragazzotte volonterose è riuscita a far passare l’idea che si tratta di un farmaco “occisivo”, un vero attentato alla salute e alla vita delle donne. Deve essere il clima, altrove si dicono cose diverse: l’ultimo Up To Date americano, che è della fine del 2007, dice che non è vero e gli epidemiologi contestano il fatto che i pochi incidenti riportati abbiano valore statistico. Ma le scartoffie si accumulano, il mifepristone non si riesce più a vedere, finirà soffocato.

E forse c’è lo zampino dei crociati anche nel modo in cui i giornali accolgono e commentano le “novità” della scienza, ormai comunemente considerata un pericoloso strumento del male in mano a scienziati folli e privi di scrupoli. Faccio un solo esempio: recentemente tutte le testate hanno dedicato molto spazio alla nascita di un bambino con tre genitori, un vergognoso miracolo, dove mai si fermerà la scienza e, soprattutto (domanda retorica), chi la fermerà? Non voglio annoiare nessuno con i particolari, ma se andate indietro di sei o sette anni troverete gli stessi titoli per lo stesso evento, tra l’altro annunciato da un medico di Torino che aveva applicato la tecnica della trasfusione di ooplasma più volte sperimentata da altri biologi. Allora non fu facile spiegare ai giornalisti che il DNA del terzo genitore era quello mitocondriale, presente nell’ooplasma in quantità minuscole e non coinvolto nella determinazione dei caratteri genetici dell’embrione. Questa volta nessuno ci ha provato, la costernazione rende impotenti e catatonici.

Spero che gli esempi che ho citato siano sufficienti a chiarire quanto grande sia l’investimento che è stato fatto in questa avventurosa crociata e quali possano essere i danni che essa continuerà a fare al Paese, umiliato nel suo diritto alla libertà, asservito a poteri misteriosi e volgari. Voglio solo concludere dimostrando quale può essere concretamente la portata di questi danni e quanto in effetti – non in teoria – la nostra libertà può patirne. Per farlo chiamo in causa quello che per alcuni è il Paese della libertà, della civiltà e della democrazia, gli Stati Uniti.

Mi riferisco a un editoriale di Pablo Rodriguez e di Wayne C. Shields, recentemente pubblicato su Contraception (2005,71,302-303) e disponibile on-line su www.sciencedirect.com. E’ un articolo che ho letto con particolare interesse e che riporto in dettaglio.

La pratica della medicina, scrivono gli Autori, esige che le istituzioni che si debbono far carico della salute pubblica siano in grado di fornire la migliore cura possibile in modo acritico e solidale, senza tenere in alcun conto le specifiche circostanze nelle quali la richiesta di aiuto viene fatta. Esistono, è vero, molte situazioni nelle quali le decisioni di coloro che sono affidati alle nostre cure (una responsabilità che, come medici, abbiamo promesso di accettare) entrano in conflitto con il nostro senso della morale e con i nostri valori religiosi, ma considerazioni etiche superiori dovrebbero costringerci a mantenere il nostro impegno anche se non siamo d’accordo con le loro scelte. Nei casi in cui questi conflitti non possono essere superati, l’unica soluzione eticamente accettabile dovrebbe essere quella di affidare il paziente a mani più adatte delle nostre.

Ma cosa accade se queste mani non siamo in grado di trovarle? In realtà, questo è quanto accade, con frequenza sempre maggiore, nelle comunità nelle quali gli unici ospedali disponibili appartengono a comunità religiose che si comportano secondo ideologie che sono in contrasto con le politiche ufficiali della sanità pubblica e che da quei comportamenti non sono in alcun caso in grado di derogare. E’ esemplare, a questo riguardo, il problema dei servizi di family planning (Eisenstadt L: Separation of Church and hospital -Strategies to protect pro-choice physicians in religiously affiliated hospitals -Yale J Law Fem 2003,15,135-140).

L’offerta dei servizi necessari per la pratica dell’aborto volontario e per gli interventi di contraccezione di emergenza diventa ogni giorno più a rischio via via che un numero sempre maggiore di istituzioni religiose diventa responsabile della salute delle Comunità negli Stati Uniti (Ibis Reproductive Health. Second chance denied: emergency contraception in Catholic Hospital emergency rooms. Cambridge (Mass): Survey for Chatolics for a free choice;1998).

Questo problema non riguarda soltanto l’aborto, visto che molti servizi hanno messo al bando anche il counseling per la contraccezione, per la prevenzione dell’AIDS, per le tecniche di procreazione assistita e persino per l’approccio a condizioni cliniche comuni e apparentemente innocenti come la gravidanza extra-uterina e la contraccezione di emergenza per le vittime dello stupro (Cohen E. -Truth or consequences -Using consumer protection laws to expose institutional restrictions on reproductive and other health care -Washington (DC): National Women’s Law Center, 2003).

Tutti questi scenari sono stati regolati da un insieme di principi che tengono conto soltanto di canoni religiosi ed escludono qualsiasi tipo di protocollo medico. Via via che gli ospedali pubblici trovano più difficile portare a compimento il proprio mandato – soprattutto per la continua diminuzione dei rimborsi da parte del governo e delle compagnie di assicurazione – un numero sempre maggiore di persone si rivolge a istituzioni come quelle rappresentate dagli ospedali cattolici per ricevere assistenza.

Ma quant’è in realtà preoccupante questa situazione?

Secondo uno studio del Merger Watch Prospect (Family Planning Advocates of NY) gli ospedali che appartengono a consociazioni religiose negli USA presentano ogni anno un conto al Governo Federale che si aggira intorno ai 40 miliardi di dollari e nel 2002 cinque delle dieci maggiori Istituzioni terapeutiche americane erano di proprietà dei cattolici. Secondo l’American Hospital Association (Annual Survey, Chicago Illinois -2002) sempre nel 2002 il 18% degli ospedali e il 20% dei letti ospedalieri era posseduto o controllato dai cattolici. Ciò significa, in numeri semplici, 622 ospedali cattolici, 15 milioni di visite urgenti ambulatoriali, 5,4 milioni di ricoveri ospedalieri. Il problema vero è che per molte comunità gli ospedali cattolici rappresentano l’unica realtà possibile, in grado dunque di decidere il destino di milioni di residenti.

Malgrado il notevole supporto economico elargito dal governo, le istituzioni religiose o semi-religiose operano ignorando completamente le norme giuridiche che in molti stati sono state varate per difendere la possibilità di ottenere l’accesso alle metodologie anticoncezionali più recenti e sofisticate. Fin dal 2003 tre stati -Washington, Illinois e California – esigono che le donne vittime di violenza carnale possano avere accesso alla contraccezione di emergenza in tutti gli ambulatori di pronto soccorso. Altri Stati – Florida, Kentucky, Connecticut, Ohio, Maryland e New York – incoraggiano la somministrazione di anticoncezionali d’emergenza alle vittime di uno stupro, senza peraltro esigerla attraverso una norma di legge. Ebbene, una ricerca condotta da Ibis Reproductive Health ha rivelato che nella maggior parte dei servizi di pronto soccorso, negli Stati che ho appena citato, l’accesso alla contraccezione di emergenza non è semplicemente possibile. Nell’Illinois, uno stato nel quale questa possibilità è richiesta espressamente dalla legge, solo 6 dei 22 ospedali cattolici provvedono a questo servizio.

L’influenza delle istituzioni cattoliche sulla possibilità di accedere ai consultori di pianificazione familiare non riguarda soltanto gli ospedali che sono sotto il diretto controllo della Chiesa. Comportamenti analoghi sono osservati da istituzioni “non settarie” come quelle rappresentate da ospedali affiliati e persino da istituzioni laiche che hanno acquistato ospedali religiosi e che sono state costrette per contratto ad accettare alcune delle limitazioni che questi ospedali si erano imposte.

Molti medici che operano in queste strutture ospedaliere, anche semplicemente affittando spazi per la propria attività, scoprono di dover accettare una limitazione della propria libertà d’azione come condizione indispensabile alla loro affiliazione.

Nello stesso modo, nelle aree in cui esiste una maggiore possibilità di accedere ai servizi di pianificazione familiare, si scopre che queste specifiche attività sono attributo degli ospedali più piccoli e più poveri, che si trovano a dover competere con un sistema ospedaliero molto più potente, il che li obbliga a fondersi e ad affiliarsi compromettendo così l’intero sistema di cure che ha a che fare con la medicina della riproduzione. Questa è al momento una delle maggiori preoccupazioni delle associazioni di consumatori americane.

Recentemente, la National Women’s Law Foundation ha stabilito una serie di regole intese a evitare fusioni e affiliazioni ospedaliere che potrebbero risultare di danno alla libertà di cura e i loro sforzi sono già stati coronati dal successo in differenti occasioni. Nello stesso modo si muovono la Federal Trade Commission e alcune istituzioni statali la cui attività consiste nell’evitare che i cittadini vedano limitare le proprie scelte nel campo dell’assistenza medica.

C’è dunque una forte presa di coscienza in merito alla progressiva diminuzione delle libertà individuali in materia di salute – e in particolare di salute riproduttiva, un problema che naturalmente riguarda soprattutto le donne – e c’è, sempre più diffusa, la richiesta di una protezione della laicità degli stati, una scelta che la maggior parte dei medici americani considera “moralmente indispensabile”.
Spero che ci sia, a questo punto, abbastanza materiale da indurci a ragionare con attenzione anche sui problemi del nostro Paese, investito con impeto dalla Nuova Restaurazione.