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Ha senso discutere del cosidetto “aborto post-nascita”?2020-03-31T17:42:17+02:00

Ha senso discutere del cosidetto “aborto post-nascita”?

Luglio 2014

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Della proposta presentata da Giubilini e Minerva di discutere il problema di quello che si potrebbe definire un “aborto post-nascita”, mi ha colpito soprattutto la reazione vagamente isterica di un certo numero di bioeticisti cattolici che non hanno voluto prendere in considerazione il problema e hanno anzi dichiarato che argomenti come questo dovrebbero essere oggetto di analisi da parte dei frequentatori delle birrerie o del mercato del pesce (con rispetto parlando per i frequentatori di questi luoghi, forse più sani di altri “salotti bene”) e certamente dovrebbero essere tenuti fuori dalle università.

Decenni di discussioni e di polemiche con persone religiose e superstiziose mi hanno abituato a non prendermela troppo di fronte a reazioni irrazionali e frettolose, ma ho qualche volta provato a immaginare (senza successo) un esempio concreto che mi potesse consentire di ripresentare il problema affidandomi alla concretezza degli eventi reali e alla loro intrinseca energia morale, cosa che non può essere relegata nelle birrerie (anche se conosco frequentatori di birrerie molto esperti di bioetica e delle sue varie componenti). Il caso mi è venuto in soccorso in modo inatteso, quando il Comitato Nazionale per la Bioetica ha deciso di discutere in un documento i problemi etici che si possono verificare nei casi (molto compositi e complessi e assolutamente diversi tra loro) dei gemelli congiunti.

Come immagino che tutti sappiano (i gemelli siamesi occhieggiano ancora dalle raccolte delle vecchie Domeniche del Corriere) si definiscono congiunti i gemelli che sono uniti per una o più parti del corpo e che eventualmente condividono apparati e organi. Si tratta di un fenomeno raro, presente anche nel mondo animale che nella letteratura medica compare con frequenze molto diverse, che variano da 1 caso su 200.000 neonati (0,5 per 100.000) a 1 su 2.800 (circa 36 per 100.000), 72 volte più elevata. L’incidenza è molto variabile in diversi paesi e periodi temporali e nelle differenti tipologie e l’evidente vaghezza dei dati statistici induce a pensare che la ricerca epidemiologica sia carente, ma che in ogni caso si debba trattare di un fenomeno particolarmente infrequente.

L’uso sempre più diffuso delle tecniche di diagnosi prenatale ha aumentato la possibilità di diagnosticare precocemente questa patologia mediante ecografie e persino utilizzando la risonanza magnetica. Gli strumenti diagnostici – per quanto sempre più raffinati – sono spesso  insufficienti a esprimere un parere definitivo e la richiesta di molte coppie che scoprono di essere in attesa di gemelli uniti tra loro (sarà possibile separarli?) molte volte non ha risposta, perché lo si potrà capire solo dopo la nascita. Di qui il primo problema bioetico: queste coppie potrebbero decidere di non interrompere la gravidanza, ma sono certo che la maggioranza di esse vorrebbe avere garanzie che le scelte successive, quali che possano essere, saranno affidate a loro. Ebbene dalla discussione sul documento è immediatamente emerso che la maggior parte dei membri del Comitato era favorevole ad affidare questo diritto di scelta ai medici, una posizione piuttosto antipatica che alcuni cercavano di mitigare insistendo sull’informazione, sulla collaborazione e su altre iniquità similari.

Il problema dei gemelli congiunti, pur essendo un fenomeno molto molto raro1, merita un adeguato approfondimento bioetico a causa dei problemi complessi e drammatici che porta con sé e delle difficoltà psicologiche alle quali va generalmente incontro la coppia dei genitori. Inevitabilmente al centro della discussione bioetica si pone la questione della liceità morale di una possibile separazione eseguita mediante soluzioni cruente che registrano percentuali di sopravvivenza particolarmente basse, nonostante l’incremento delle conoscenze scientifiche e il progresso delle tecnologie biomediche rendano possibili interventi di separazione fino a qualche decennio fa impraticabili.)

Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha a lungo discusso se il possesso di un corpo separato sia un requisito indispensabile per essere considerato un individuo a cui deve essere garantita sempre una specifica integrità, oppure se ci troviamo di fronte a un’integrità diversa, unitaria e duplice nello stesso tempo, che va riconosciuta e rispettata, quando non vi siano imminenti pericoli di vita, nella “propria” particolarità. Ci si è chiesti, in ultima analisi, quale sia il migliore interesse da perseguire per i gemelli congiunti e quale rilevanza abbiano la diagnosi medica, la scelta dei genitori, l’eventuale assenso espresso dai minori, il consenso degli adulti.

Il documento del Comitato prende in esame separatamente i problemi con i quali ci si deve confrontare quando i gemelli hanno raggiunto la maggiore età e quando invece non sono ancora in grado di prendere una decisione autonoma ed è chiaro che è a questi ultimi che faccio riferimento.

A questo riguardo si debbono distinguere le situazioni nelle quali non è in pericolo la vita dei gemelli, né immediatamente né nell’immediato futuro, mentre l’intervento di separazione, sebbene possibile tecnicamente, risulta rischioso per la vita di uno di loro o per quella di entrambi. A questo proposito sono emersi orientamenti bioetici differenti: alcuni ritengono che l’intervento debba essere scartato per gli alti rischi che propone, potendo compromettere seriamente la vita e la salute dei neonati o di uno di essi a scapito dell’altro: evidentemente questa posizione si richiama al valore della vita dei gemelli, ritenendo che la loro anomalia non debba essere considerata in sé come una condizione inaccettabile. Se non esiste un pericolo immediato, inoltre, è possibile attendere e concedere ai genitori di valutare meglio la condizione clinica dei loro figli per addivenire alle soluzioni migliori per la loro salute.

Altri membri del Comitato pur partendo dal medesimo presupposto filosofico di riconoscimento del valore della vita e della salute, considerano la congiunzione una compromissione inaccettabile della identità umana e ritengono che l’individualità sia un valore essenziale e vada garantita quando sussiste una ragionevole possibilità di successo dell’intervento chirurgico e anche in presenza di un elevato rischio, sempre purché esista una qualche speranza di successo.

È stata presentata anche una terza posizione secondo la quale non è possibile giudicare in astratto sulla liceità e sulla illiceità di interventi ad alto rischio, seppur non in presenza di pericolo immediato di vita, in quanto esistono casi – come possono essere disabilità particolarmente gravose e malconformazioni associate presenti a carico di organi vitali e destinate ad aggravarsi nel tempo – in cui può essere eticamente accettabile scegliere di intervenire anche se l’intervento presenta elevati margini di rischio.

La seconda situazione identificata è quella in cui, sulla base di un’obiettiva valutazione clinica, confermata da dati empirici, si giunge alla certezza dell’esistenza di un imminente e grave pericolo di vita per entrambi i gemelli. In queste circostanze, astenersi da un intervento comporta la morte di entrambi o nel migliore di casi, un peggioramento della prognosi, mentre separare i due gemelli può consentire di salvare una o entrambe le vite, anche se per la maggior parte degli interventi le chance di un esito favorevole debbono essere considerate esigue, sia per le difficoltà proposte dalle complicate situazioni anatomiche sia per la presenza di malformazioni che possono riguardare organi e persino interi apparati. È evidente che la speranza di salvare entrambi i gemelli riguarda solo raramente casi in cui gli organi mancanti possono essere trapiantati e le parti corporee ricostruite: di gran lunga più frequenti i casi in cui esistono probabilità accettabili di salvare soltanto uno dei due gemelli, quello che ha maggiori chance di ordine anatomo-fisiologiche. Questo intervento, definito “sacrificale”, non ha lo scopo di eliminare l’impedimento all’indipendenza fisica dei due neonati, ma quello di affrontare una grave minaccia alla loro salute, un rischio tale da pregiudicarne la vita.

Il Comitato ha ritenuto opportuno richiamare l’attenzione su alcune delle diverse opinioni e argomentazioni più frequentemente esposte su questa condizione nella letteratura bioetica: quelle che in gran parte sono state prese in esame, anche se non necessariamente condivise in tutto o in parte, nel corso delle audizioni e nel dibattito che c’è stato in occasione della discussione sul parere e che si è protratto per varie plenarie.

Alcuni membri del Comitato hanno ritenuto eticamente comprensibile e accettabile la scelta dei genitori che, a seguito di una adeguata informazione medica e anche in contrasto con questa, nell’incertezza dell’esito di un eventuale intervento di separazione, decidano di astenersi dall’intervento, pur sapendo che tale scelta comporterà la morte di entrambi i gemelli o di uno dei due. Tale posizione può essere motivata da molteplici argomenti: da ragioni di ordine religioso; dall’intenzione di portare a compimento una scelta non fatta al momento della diagnosi prenatale (ossia la scelta di interrompere la gravidanza); dal rifiuto di assumere le responsabilità e il peso morale di una scelta qualora l’intervento consenta la sopravvivenza o la possibile sopravvivenza di un solo gemello, dal richiamo a che ‘la natura faccia il suo corso’; dalla volontà dei genitori di evitare di esporre i gemelli alla sofferenza implicita nell’intervento di separazione e nei probabili interventi successivi, tenendo anche conto del fatto che spesso si può prospettare per entrambi o per il sopravvissuto una vita di scarsa qualità (oltre a elevati costi assistenziali).

Un’altra linea di pensiero è favorevole a un intervento finalizzato a salvare entrambi i gemelli, ma manifesta una opposizione etica nei confronti di quegli interventi che a priori non consentiranno di salvare entrambi in quanto ritiene che la tutela del bene vita vada intesa come un divieto assoluto di causare la morte e, quindi, considera illegittima l’inevitabile drammatica scelta di lasciar sopravvivere uno solo dei due gemelli. L’intervento di separazione metterebbe inoltre in discussione il principio di uguaglianza, secondo il quale il diritto alla vita va riconosciuto a tutti i soggetti a prescindere dalle loro condizioni di salute e di malattia.

Secondo una ulteriore linea di pensiero, nella condizione di imminente e grave pericolo di vita di entrambi i gemelli e a fronte di un’apprezzabile e ragionevole previsione di un esito salvifico per uno dei due gemelli, l’intervento di separazione dovrebbe essere considerato eticamente giustificato, così come dovrebbe essere giudicato lecito e, anzi, doveroso l’intervento dei medici.

La posizione che trovate segnalata dal corsivo è in qualche modo quella che io ho presentato, anche se non ne posso essere certo, perché non sono stato io personalmente a scriverla e l’ho trovata già inserita in uno dei documenti finali, ricavata probabilmente da quanto avevo avuto modo di dire nel corso delle discussioni.  Nella riunione plenaria del Comitato nella quale il documento è stato discusso e approvato (26 luglio 2013) sono intervenuto per sottolineare quella che in quel momento mi sembrava una cosa fuori dal comune, la comparsa in un documento del CNB di una posizione etica, quella proposta da Giubilini e Minerva, alla quale era stato negato persino il diritto di cittadinanza nelle aule dell’Università. Copio dal verbale ufficiale della seduta:

«FLAMIGNI legge quanto è scritto alla riga 410, a descrivere la prima delle tre Indicazioni bioetiche:
“La posizione secondo la quale sono i genitori, dopo un’adeguata informazione sulle condizioni cliniche dei propri figli, che in qualsiasi caso danno un consenso o un dissenso vincolante all’intervento chirurgico di separazione”.
Si chiede però se, sostenendo che nel caso in cui due genitori che si trovino di fronte a una coppia di gemelli uniti, nella condizione clinica di rischio di vita per entrambi in mancanza di una separazione, mentre l’intervento potrebbe salvarne uno, possano decidere che tale intervento non vada eseguito, tale posizione non rischi di richiamare, sia pure in maniera attenuata, l’ipotesi dei ricercatori Giubilini e Minerva, che dà ai genitori il diritto di sacrificare il bambino, come forma estrema di aborto effettuato dopo la nascita.
Chiede inoltre: nel caso di due gemelli congiunti che siano diventati adulti, la decisione di uno dei due di sacrificare la propria vita a favore dell’altro può essere considerata legittima o vista come una richiesta di suicidio?
Dichiara infine di dissentire sulla possibilità del medico di entrare nelle scelte, in quanto ritiene che il luogo dei medici sia quello della camera di consiglio e non delle decisioni, quello di proporre un ventaglio di scelte possibili, per poi attendere una decisione. Per questi motivi decide di sostenere la prima delle tre Indicazioni bioetiche.»

Dunque, da questo momento l’ipotesi proposta da Giubilini e Minerva trova spazio nel documento del Comitato Nazionale di Bioetica, nel quale non è entrata di soppiatto, ma dopo che un membro del Comitato ne aveva riconosciuto la discendenza genetica e l’aveva comunicata agli altri membri. Il che non significa che si tratti di un’idea vincente e convincente: significa soltanto che abbiamo a che fare con un’ipotesi che ha solide basi razionali e che merita di essere discussa (dovunque si raccolgono persone razionali, e perciò persino nelle birrerie e al mercato del pesce).

(1) Al riguardo merita di essere ricordato che nel luglio 2001 a Bologna sono nate due gemelle in questa condizione e che sul caso il Comitato Etico Locale ha dato il seguente parere: “Il Comitato di Bioetica dell’Ateneo ha esaminato, nelle due sedute del 6 e dell’11 luglio 2011, le problematiche bioetiche dei neonati siamesi toraco-onfalopaghi con cuore unico e all’unanimità ha espresso il parere sotto riportato: in via preliminare il Comitato di Bioetica chiarisce che non rientra nelle sue competenze esprimere un parere sul caso concreto e su interventi di carattere medico-sanitario. Il Comitato non  intende però esimersi dall’analizzare la questione generale relativa all’ipotesi di neonati siamesi toraco-onfalopaghi (congiunti a livello toracico e addominale) con cuore unico, con l’intento di rappresentare un luogo di discussione e di confronto sui profili bioetici di tale tematica. Il Comitato di Bioetica è inoltre consapevole della drammaticità della questione e ritiene essenziale sottolineare l’importanza di un rapporto dei medici con i genitori fondato sulla ricerca di una piena condivisione. La complessità delle questioni in gioco e l’estrema delicatezza degli interessi coinvolti hanno suscitato un’ampia ed articolata discussione nell’ambito di questo Comitato. In seguito ad un’approfondita riflessione, si è giunti ad esprimere all’unanimità un parere generale che prende in considerazione due distinte situazioni:

  1. La prima ipotesi è quella in cui i due neonati siamesi non versino in condizioni di imminente e grave pericolo di vita. In questo caso, il Comitato unanime ritiene eticamente corretto che i medici non intervengano per procedere ad una separazione: alla luce delle attuali conoscenze tale intervento provocherebbe la morte di uno dei due neonati.
  2. La seconda ipotesi è quella in cui i due neonati siamesi toraco-onfalopaghi versino in condizioni di imminente e grave pericolo di vita. La scelta astensionistica condurrebbe alla morte di entrambi, laddove invece la scelta di procedere ad un intervento di separazione offrirebbe apprezzabili possibilità di un esito salvifico per uno dei due neonati.

Nel caso in cui ricorrano le condizioni descritte, il Comitato di Bioetica unanime ritiene eticamente corretto che i medici scelgano di intervenire per una separazione, fermo restando che non si configuri alcuna ipotesi di accanimento clinico e terapeutico” da www.magazine.unibo.it/Magazine/Notizie/2011/07/20/Comitato_di_bioetica_su_neonati_siamesi.htm