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Indagini genetiche pre-impiantatorie2020-03-31T10:18:49+02:00

Indagini genetiche pre-impiantatorie

Novembre 2007

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La maggior parte delle donne, dal momento in cui apprende di essere in attesa di un figlio a quello in cui riesce finalmente a tenerlo tra le braccia (e a guardarlo negli occhi, e a contargli le dita) viene visitata, spesso con singolare frequenza, da un odioso e informe fantasma, il temuto e multiforme spettro della malformazione. Non è un timore del tutto immotivato: nella nostra specie le imperfezioni dei prodotti del concepimento sono la causa più importante degli aborti (numerosissimi) e si ritrovano, seppur con differente gravità, in quasi il 4% dei nati: e se è vero che molte di queste anomalie possono essere corrette, è altrettanto vero che in un gran numero di casi si tratta di una condanna alla sofferenza o a una dolorosa diversità. Le donne apprendono dell’esistenza di questo rischio nei modi più strani e ne sono spaventate: qualche volta arrivano persino a rifugiarsi nei rimedi delle superstizioni popolari.

La maggior parte delle donne ritiene giusto (e moralmente ineccepibile) fare tutto il possibile per evitare queste tragedie. La maggior parte delle donne non cerca, sia ben chiaro, figli perfetti, la perfezione non fa parte neppure delle loro più segrete ambizioni, anzi le spaventa un po’. La maggior parte delle donne desidera avere figli normali, normalmente capaci di capire, normalmente capaci di correre e di saltare, figli che non corrano il rischio di morire se inciampano e cadono sull’erba mentre rincorrono il pallone. La maggior parte delle donne non ritiene che questo desiderio debba essere bollato come “eugenetica”.

Gran parte delle malformazioni fetali si possono scoprire nel corso della gestazione, con esami genetici e con le ecografie, e in questi casi è possibile ricorrere a una interruzione di gravidanza, la legge italiana lo consente. E’ vero però che in molti casi la diagnosi viene fatta piuttosto tardi, quando il feto ha raggiunto un certo grado di sviluppo o è addirittura capace di sopravvivenza autonoma, ed è comunque sempre possibile che il ricordo di queste scelte resti nel cuore delle donne a distillare a lungo dolore e rimpianto: non credo che si manifesti, invece, un reale senso di colpa (la “sindrome del boia”, come la definisce con levità un sito del movimento per la vita), la colpa è della natura e del caso, due cugini stupidi e disordinati che sembrano godere di una vergognosa impunità.

Ecco dunque spiegata la grande simpatia che molte donne e molte coppie provano nei confronti delle analisi pre-impiantatorie, quelle che si eseguono sugli embrioni che sono stati formati “in vitro”, fuori dal grembo materno, prima del trasferimento e dell’impianto. Si tratta di esami molto sofisticati, eseguiti su una o due cellule prelevate generalmente da una morula (un pre-embrione a otto o a sedici cellule, giunto al terzo giorno di sviluppo) o, due giorni più tardi, da una blastocisti: si possono così scoprire sia le anomalie cromosomiche che le mutazioni dei geni che sono responsabili di malattie e di malformazioni.

La tecnica (o meglio, le tecniche, ormai ce ne sono molte disponibili) è relativamente recente ed è uscita solo da qualche anno dalla fase sperimentale. La sua applicazione più importante consiste nel diagnosticare una malattia ereditaria, trasmessa da uno dei genitori o da entrambi: nel primo caso si tratta di mutazioni dominanti, che vengono trasmesse alla metà dei figli; nel secondo caso si tratta di mutazioni recessive, che sono trasmesse a un quarto dei figli solo se presenti in entrambi i genitori (definiti portatori sani). Esistono anche malattie trasmesse da madri sane che si evidenziano solo nei figli maschi. Si tratta complessivamente di oltre 6.000 sindromi, alcune delle quali rarissime, altre (come la fibrosi cistica o l’anemia mediterranea) molto frequenti; sull’utilità di ricorrere alle indagini genetiche pre-impiantatorie in questi casi non esiste alcun dubbio.

Dubbi ne esistono invece per quanto riguarda la diagnosi delle aneuploidie, le anomalie del numero dei cromosomi, e in particolare di quelle che sono particolarmente frequenti nei figli di madri non più giovani (l’esempio più classico è la sindrome di Down). E’ possibile che in questi casi l’analisi scopra anomalie destinate a scomparire spontaneamente e molti ricercatori non hanno tratto alcun vantaggio (a parte un indubbio vantaggio economico) dall’applicazione di queste tecniche, né in termini di aumento delle gravidanze, né calcolando la percentuale di aborti spontanei e di bambini malati.

Le critiche alle indagini pre-impiantatorie sono numerose, variegate, maligne e provengono prevalentemente dalla stessa sponda del Tevere. Si dice che in questo modo vengono sacrificate persone, individui come noi, della cui vita nessuno ha il diritto di disporre. Si afferma che la biopsia di una morula è in realtà un’autopsia, perché tutte le cellule di un pre-embrione a questo stadio di sviluppo sono totipotenti, ognuna è in grado di formare un intero individuo. Si sottolinea che questa è ricerca di perfezione, eugenetica della più bell’acqua. Si dice che la tecnica è pericolosa, che è “occisiva” e immorale. Chi prova a contestare queste affermazioni entra a far parte, a pieno diritto, del bestiario dei giornali cattolici, che eccellono, a dir il vero assai poco cristianamente, nell’arte della sputtanatura.

Su questo problema ormai decrepito dell’embrione “uno di noi” si è in realtà discusso un po’ troppo, sento in giro una certa stanchezza e ho la sensazione che qualche cedimento sia avvertibile anche tra chi nella “dittatura del concepito” ha inizialmente creduto più degli altri. Faccio un esempio, uno solo.

La Chiesa Cattolica Romana ritiene – da qualche tempo, solo da qualche tempo – che la vita personale abbia inizio con l’attivazione dell’oocita (che avviene nelle prime 24 ore dall’inizio del processo di concepimento), il momento in cui i due gameti si toccano per la prima volta: più indietro di così, in realtà, non si può andare, si finisce nelle gonadi dei coniugi, potrebbero seccarsi. Inutile discutere su come il Vaticano è arrivato a questa conclusione (sino a pochi anni or sono l’ipotesi era quella di un inizio “post-zigotico”), 2.000 anni di storia danno a chiunque il diritto di dire possum e non possum a piacimento e senza spiegazioni. Credo di non poter essere contraddetto, però se affermo che nella protezione della vita nascente c’è soprattutto una forte intenzione anti-abortista, cosa che si può cogliere da tutti gli scritti dei teologi cattolici.
Se si dovesse fare una classificazione geografica dell’anti-abortismo cattolico, dovremmo mettere in cima alla lista, spero che nessuno si stupisca, l’Irlanda. In quel Paese, esiste un articolo della Costituzione nel quale si stabilisce che la vita nascente è protetta sin dal suo esordio, un articolo sul quale si basa la legislazione irlandese che proibisce l’aborto persino nelle circostanze nelle quali è a rischio la vita della madre. Eppure quando, nel 2002 il Governo irlandese fece un tentativo – miseramente fallito – di cambiare quell’articolo della Costituzione spostando la garanzia della protezione all’impianto in utero, tutto l’episcopato cattolico irlandese (vescovi ausiliari inclusi) si schierò a favore della nuova versione. Esistono interpretazioni molto malevole delle ragioni di quel sostegno, pettegolezzi ai quali mi rifiuto di credere, almeno per ora. Mi interessa invece il fatto che la nuova versione proposta nel referendum altro non è se non l’espressione del personalismo relazionale, sostenuto da molti teologi protestanti e da numerosi filosofi cattolici, secondo il quale il feto diventa persona quando entra in relazione con l’umanità attraverso il suo primo contatto con il grembo materno. Le conseguenze di questa scelta sono essenziali: se il pre-embrione non può essere definito persona quando si trova nel brodo di coltura di un laboratorio, si deve considerare lecita qualsiasi manipolazione si voglia eseguire su di lui, dall’indagine genetica al prelievo di cellule staminali per la ricerca. A me pare che il monumento all’uomo-embrione, apparentemente così monolitico e colossale, cominci a sgretolarsi.

Ma i protettori dell’embrione, i nemici dell’eugenetica, hanno una seconda linea di difesa, il cosiddetto principio di precauzione: ammettiamo, dicono, per pura ipotesi, che la nostra tesi che identifica l’inizio della vita personale nel concepimento non sia dimostrabile, che esista un dubbio. Nello stesso modo i sostenitori di altre e differenti teorie dovrebbero ammettere che l’esistenza di un dubbio come questo esige comportamenti ispirati alla più straordinaria prudenza. E poiché un gesto imprudente e sconsiderato ci farebbe correre il rischio di compiere un crimine orrendo, dovremmo tutti considerare l’esistenza di un dubbio come un obbligo morale ad astenerci da qualsiasi azione potenzialmente lesiva. Come ho detto, il principio di precauzione, reso più efficace, nella fattispecie, dal fatto di confrontarsi con una vita potenziale.
Dunque, cautela assoluta nei confronti di una vita potenziale, il che significa per prima cosa impegno a non sopprimerla per nessuna ragione, cosa che d’abitudine non si verifica quando una indagine genetica scopre che quella vita potenziale è già un contenitore di (potenziali) sofferenze. C’è una soluzione? Secondo Derek Parfit, il non cominciare ad esistere, cioè il non trasformare una persona potenziale in reale, non può essere né un bene né un male per chi possiede solo la potenzialità dell’esistere come persona reale. La persistenza della potenzialità indica che non ci sarà mai una persona reale per la quale il fatto di non aver cominciato ad esistere possa rappresentare un male. Le persone potenziali non stanno né bene né male ed è impossibile che qualcosa possa essere per loro meglio o peggio, positivo o negativo. Le persone potenziali non stanno in alcun modo e non hanno alcun diritto. Ne deduco che è opportuno evitare di gettare gli embrioni mostruosi nel lavandino, meglio congelarli. Non facciamo martiri.

Scheda

Le indagini genetiche pre-impiantatorie hanno consentito ad alcune migliaia di coppie di avere figli normali: attribuire alla ricerca di un figlio normale lo statuto di eugenetica è molto discutibile.

La legge 40/2004 proibisce di eseguire indagini genetiche pre-impiantatorie, ma recentemente il Tribunale di Cagliari ha autorizzato una di queste ricerche su un embrione basandosi sulla necessità di evitare una sofferenza psicologica grave alla madre. E’ in fondo lo stesso principio che ispirò una famosa sentenza della Consulta che stabilì, negli anni Settanta, il prevalente interesse di chi è già persona su quello di chi persona deve ancora diventare. Dovremmo ricordare tutti quanto dobbiamo ai Magistrati in questo Paese.

Del resto la legge 40 stabilisce che i genitori hanno diritto di essere informati sulle condizioni di salute dei loro embrioni. Poiché la norma parla espressamente di embrioni – non di ootidi, non di zigoti – e poiché non esiste altro modo di conoscere le condizioni di salute di un embrione oltre a quello di eseguire una analisi genetica, il divieto di indagini pre-impiantatorie non dovrebbe essere considerato valido.

In ogni caso si dovrebbe autorizzare l’analisi dei due globuli polari in sequenza, che informa almeno sulla normalità dell’oocita. I due globuli polari sono corpiccioli eliminati dall’uovo insieme a metà dei cromosomi: poiché il secondo viene espulso dopo la penetrazione dello spermatozoo, le linee guida ne proibiscono l’analisi affermando che si tratterebbe di una impropria manipolazione dell’embrione. Mi pare giusto chiedere a chi ha scritto le linee guida cosa significa per lui la parola “espulso”. D’altra parte analizzare un solo globulo polare non è sufficiente.

In un vecchio partito di sinistra, attualmente in demolizione, si diceva scherzando che l’embrione diventa persona quando si iscrive al sindacato. Nella faticosa ricerca di compromessi tra le due componenti – laica e cattolica – che si sta verificando nel nuovo partito di (incerta) sinistra sembra che si sia arrivati alla seguente formula mediatoria: l’embrione diventa persona quando si iscrive all’Opus Dei.
Solo soli.