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Considerazioni sui gemelli2020-03-31T15:29:41+02:00

Considerazioni sui gemelli

Lezione magistrale tenuta il 16 maggio 2011 a Padova al convegno “La gravidanza gemellare”

Maggio 2011

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Le nostre conoscenze nel campo della biologia hanno sempre tratto grande giovamento dall’osservazione della natura e del comportamento degli animali.

Se le pecore che brucavano in un certo prato diventavano infertili e le femmine abortivano sistematicamente, si doveva di necessità concludere che tra le erbe che crescevano in quel luogo ce ne era una che aveva particolari proprietà “emmenagoghe” che poteva essere somministrata anche alle donne che di fare figli proprio non ne potevano più. Gran parte della medicina cosiddetta naturale è nata e si è consolidata sulla base di queste osservazioni.

Ora, esistono molti animali sulla terra che concepiscono e partoriscono nidiate di figli, ed esistono animali che d’abitudine di figli ne partoriscono uno solo ma che con una certa frequenza e senza segnalare alcun malessere ne scodellano due e persino tre. Dunque, venendo alla nostra specie, il fatto che una donna partorisca due gemelli, o tre, o persino quattro, non dovrebbe sorprendere nessuno, non dovrebbe causare né curiosità né meraviglia. In realtà, come vedremo non è proprio così, o meglio non è sempre e ovunque così.

Secondo la prassi, secondo la letteratura rosa, secondo gli orribili talk shaw televisivi, poi, la nascita di due gemelli dovrebbe ispirarci pensieri ottimistici e vagamente melensi, pensieri che hanno a che fare con la moltiplicazione dei sentimenti più teneri che si accompagnano generalmente alla nascita di un figlio, ispirati dal fatto che questa volta le cuffiette sono due, le culle sono due, persino i sederini da lavare sono due. E’ poi c’è una sorta di antica leggenda secondo la quale due gemelli sono due fratelli legati tra loro dal maggior affetto immaginabile, da un amore che attinge addirittura alla metafisica, gli psicologi ci hanno guadagnato un mucchio di soldi, i buonisti ci hanno versato su lacrime tenerissime.

Se qualcuno ha letto, in gioventù, un libro di Alessandro Dumas intitolato “I fratelli corsi” ricorderà certamente la storia: due gemelli condannati a percepire ciascuno sentimenti ed emozioni e a soffrire del dolore indotto dalla violenza fisica subita o patita dall’altro, in quel momento lontano da lui le mille miglia. Un romanzo, certo, anzi un romanzaccio, ma una storia che colpiva l’immaginazione popolare chiaramente predisposta a considerare queste ipotesi fantascientifiche come possibili e credibili. In realtà il problema è molto più complesso, la gente tende a considerare i gemelli come potenziali portatori di conflitti, i miti presenti in ogni parte del mondo raccontano la stessa storia di rancori e di dualismi per i quali queste coppie sembrano simboleggiare lotte fratricide per la conquista della identità, spezzata, minacciata o semplicemente messa in discussione  dall’esistenza di un doppio.

Ci sono, naturalmente, numerose eccezioni, e non potrebbe essere diversamente visto che tra le coppie di gemelli famosi ci sono anche Cosma e Damiano, due martiri cristiani: ma ciò non toglie che la mitologia racconti prevalentemente storie di coppie in sempiterno e aspro conflitto, con versioni molto simili nate in contrade molto lontane. Certo, esistono anche molte leggende che raccontano storie del tutto opposte e sfuggono a questa tradizione: ne è esempio famoso la storia di Castore e Polluce, due fratelli con i quali è addirittura possibile dialogare perché Giove, con un gesto misericordioso, li ha collocati in mezzo al cielo di settentrione, con le due stelle primarie più fulgide che portano il loro nome.

E’ interessante sapere che un mito del tutto analogo esiste in India e che i gemelli protagonisti di questa leggenda sono stati collocati da non so più quale divinità nella stessa costellazione che ospita Castore e Polluce, Gemini.  Vi racconterò la loro leggenda, ma non ora. Al momento voglio cercare di capire cosa c’è, nella storia ostetrica dei gemelli, che può aver convinto i cultori delle religioni e delle superstizioni che i gemelli si odiano, e che questo sentimento alberga nei loro cuori fin da quando sono ancora riuniti nello stesso grembo materno. Si tratta di reazioni relativamente frequenti, che trovano la loro giustificazione in elementi concreti.

 Ad esempio, in Kenia e nello Zaire, fino a metà del secolo scorso, venivano uccisi alla nascita i bambini nati in presentazione podalica e questo atto, apparentemente inconsulto, era presumibilmente motivato dal fatto che molte presentazioni podaliche, per le difficoltà che l’assistenza al loro parto poteva presentare e per la cattiva assistenza ostetrica che ricevevano, si concludevano con la nascita di bambini handicappati, un peso che le tribù, già naturalmente molto povere, proprio non riuscivano a tollerare. Detto questo, può avere senso leggere insieme quello che scrive l’Enciclopedia Treccani – la mia edizione è del 1949 – sulle gravidanze gemellari:

La gravidanza multipla, che alla prolificità reca un tenue contributo, non è un fenomeno vantaggioso per la specie, né meritevole di essere selettivamente favorito. Infatti nelle gravidanze gemellari sono relativamente frequenti gli aborti e i parti prematuri, le anomalie di sviluppo e i fatti patologici in genere. Uno dei tipi di gravidanza gemellare, la uniovulare, è strettamente collegato per la sua genesi con le mostruosità doppie. Dei due soggetti, uno può morire nel corso della gravidanza. E’ maggiore nei gemelli il numero dei nati morti ed è più elevata del normale la mortalità dei nati vivi fino a un certo periodo della loro vita. Le gravidanze gemellari e i parti relativi sono accompagnati da maggiori pericoli. Nelle femmine nate da parto gemellare la sterilità è abbastanza frequente. Per analogia si può ricordare che gli zootecnici conoscono per lunga esperienza la frequente sterilità delle femmine nate da parto gemellare nelle specie generalmente unipare. Gli allevatori di cavalli scartano per la riproduzione gli stalloni e le giumente nati da parti gemellari anche se presentano caratteri somatici perfetti. (voce a cura di Giulio Chiarugi, professore di anatomia).

E’ forse più facile capire, tenendo conto di quanto ho detto, i motivi per cui la venuta al mondo di due gemelli viene considerata, almeno in molti luoghi della terra, con mediocre entusiasmo.

Nel Benin, un luogo nel quale la fertilità delle donne è molto apprezzata, la nascita di due gemelli è ufficialmente considerata come un evento fortunato, talché i capi tribù si fanno carico di pagare a proprie spese una nutrice per uno dei due bambini; non deve peraltro stupire che nello stesso Paese sia stata a lungo tollerata un’abitudine diametralmente opposta, quella di uccidere la madre dei gemelli, considerata colpevole di aver fatto commercio con gli spiriti.

Nel Loango, un regno altrettanto barbaro, venivano sacrificati madre e figli, almeno in teoria, perché le famiglie ricche potevano salvare la vita della donna ( e solo di lei) disponendo che fosse sacrificata, al posto suo, una povera schiava. Usi simili erano diffusi in Guinea, tra gli Eschimesi e in Beciuania, paese nel quale i riti di sacrificio dei gemelli erano simili a quelli adottati per i bambini deformi.

Nell’America del nord, gli indiani Comanci sacrificavano uno solo dei gemelli, scelto generalmente a caso, perché ritenevano umiliante, per una donna, mettere al mondo più di una creatura alla volta, com’è nelle abitudini delle cagne. Tra gli ottentotti sono state registrate consuetudini molto aggressive nei confronti dei gemelli di sesso femminile, che portavano al sacrificio della bambina considerata meno bella, mentre i gemelli maschi erano accolti persino con qualche entusiasmo; l’evento più deplorato era la nascita di due bambini di sesso diverso, un evento che si concludeva con il sacrificio della bambina, che in questo caso veniva sepolta viva.

 E c’erano addirittura tribù africane nelle quali il padre di due gemelli veniva sottoposto all’asportazione di un testicolo, una precauzione nei confronti di una possibile ripetizione dello sfortunato evento.
Una gravidanza multipla si verifica attualmente ogni 80-90 parti, una frequenza che generalmente decresce con l’aumentare del numero di feti. Il numero di queste gravidanze si può calcolare, in ogni popolazione, applicando la cosiddetta formula di Helling: in una popolazione nella quale la gravidanza bigemina si presenta ogni 90 parti, la frequenza delle trigemine è pari a una ogni 90²,quella delle quadrigemine una su 90³e così via. Basta ricordare, però, che questo numero, 90, vale solo per alcune popolazioni e non per tutte e va sostituito ogni volta con la cifra che indica la frequenza delle gravidanze bigemine per quella specifica popolazione. Ad esempio,la gravidanza gemellare si riscontra con particolare frequenza in Africa (1-4% in Nigeria) e molto più raramente in Giappone (0,4%).

In Italia, ma sono dati che risalgono a quasi un secolo fa, in un periodo di 43 anni (dal 1872 al 1914) in 47.782.180 parti erano compresi 565.176 parti multipli, uno ogni 84,54 parti semplici. La proporzione delle gravidanze multiple con differente numero di prodotti rispetto al totale dei parti semplici è la seguente ( o era la seguente):

  • 2 nati, una volta ogni 84,54 parti semplici
  • 3 nati, una volta ogni 6.751 parti semplici
  • 4 nati, una volta ogni 963.612 parti semplici
  • 5 nati, una volta ogni 23.608.502 parti semplici.

Si trovano pochissime osservazioni di gravidanze con 6 prodotti, anche se la letteratura medica fa menzione di un caso con otto prodotti. Le cose naturalmente sono cambiate dopo l’introduzione dei farmaci che stimolano l’ovulazione. Alcune donne hanno una particolare predisposizione alle gravidanze multiple e la storia della medicina cita alcuni casi veramente singolari.
Negli ultimi anni, a causa della diffusione delle tecniche di PMA e dell’aumento dell’età materna, la frequenza delle gravidanze multiple è aumentata notevolmente. E’ stato dimostrato che nei Paesi nei quali si registra il maggior numero di gravidanze gemellari si osserva la più alta concentrazione di gonadotropine e soprattutto di FSH, un dato quest’ultimo molto comune nella fase di transizione pre-menopausale.

Se i gemelli derivano dall’incontro dei gameti paterni con due (o più) gameti materni, si tratta sempre di due o più fratelli che convivono nello stesso grembo materno, due placente, due chorion e due amnios:  il problema fondamentale è sempre quello, molto semplice ma altrettanto importante, dello spazio angusto, un monolocale utilizzato come condominio.

La formazione di gemelli identici, invece, può verificarsi in tempi diversi, con questi risultati:

  • se la separazione avviene prima che si sia formata la massa cellulare la gravidanza avrà due placente, due chorion e due amnios;
  • se è la massa cellulare interna a dividersi ( il che avviene tra i 4 e gli 8 giorni dopo la fecondazione), la gravidanza avrà una sola placenta, due amnios e un chorion;
  • se si duplica il disco embrionario ( 8-12 giorni dopo la fecondazione) i due feti sono contenuti nello stesso sacco amniotico;
  • se la divisione si verifica dopo la comparsa della linea embrionaria primitiva( quattordicesimo giorno) la separazione non è completa e i gemelli sono variamente congiunti (cranio paghi, toracopaghi, pigopaghi).

E’ interessante ricordare che la questione delle nascite gemellari ha creato un problema di interpretazione dell’inizio della vita personale all’interno del mondo cattolico. Padre Norman Ford, un teologo australiano, ha sostenuto, e credo sostenga ancora, che non è semplicemente possibile parlare di persona e di individuo prima che l’embrione raggiunga il quattordicesimo giorno dopo il concepimento, giorno che corrisponde alla comparsa della linea primitiva e dopo il quale non è praticamente più possibile la formazione di gemelli, chiedendo addirittura di definire il periodo precedente come la fase pro embrionale. In altri termini, sempre secondo Ford, uno o più individui umani definitivi non potrebbero cominciare a esistere prima che la blastocisti perda la propria pluripotenza, ossia prima del momento in cui, non appena uno o più individui umani sono formati dalle cellule epiblastiche, a essi viene assegnata l’anima razionale per effetto di un atto creativo di Dio.

 Personalmente ho trovato curiose, più delle ipotesi di Ford, le risposte che gli sono arrivate dal magistero cattolico. Solo per fare un esempio vi ricordo che padre Angelo Serra, professore di genetica nell’Università Cattolica di Roma, ha sostenuto che quando la divisione cellulare avviene naturalmente lo zigote originario continua ad esistere e a svilupparsi con una identità ontologica immutata. Anche se non è possibile riconoscere l’ordine della successione naturale, il secondo gemello prende origine dal primo per una sorta di divisione per gemmazione. Dunque sappiamo che anche nella nostra specie è possibile la riproduzione asessuata, anche se siamo ancora in attesa di sapere se la “gemma” è portatrice del peccato originale.

La gravidanza gemellare, e ancor di più le gravidanze multiple, rappresentano un rischio piuttosto elevato di complicazioni materne e fetali. Per quanto riguarda la madre, il rischio maggiore è rappresentato da un incremento esagerato e particolarmente precoce del volume plasmatico a partire dalla 7ma-8va settimana di gravidanza.

Nelle gravidanze gemellari, e soprattutto nelle pluripare, il volume plasmatico a termine può raggiungere un valore doppio rispetto a quello di partenza, una espansione che può creare problemi di vario genere, dall’anemia all’edema polmonare. Aumenta anche in misura significativa il rischio di colestasi gravidica e sono riportati casi di atrofia giallo acuta del fegato. E’ probabile, ma non del tutto dimostrato, che esista una associazione tra la comparsa di un diabete gestazionale e la gravidanza multipla una correlazione difficile da stabilire a causa della eterogeneità dei criteri utilizzati per la diagnosi della malattia. E’ invece certa la maggior frequenza di ipertensioni gestazionali e di preeclampsie e sono aumentate anche le sindromi HELLP (Hemolysis Elevated Liver Enzymes Low Platelets).

Le gravidanze gemellari esitano in aborto nel 15-20% circa dei casi e solo il 70% delle gravidanze gemellari diagnosticate prima della settima settimana si conclude con la nascita di due feti vivi. In generale la morte di uno dei gemelli nel primo trimestre di gravidanza non comporta una avversa prognosi gestazionale, anche se le casistiche delle PMA sembrano associare la diagnosi di un vanishing twin con una diminuzione del peso del gemello sopravvissuto alla nascita o con una conclusione precoce della gravidanza.

La morte di un feto nel secondo o terzo trimestre è un evento molto più raro, che non interessa più del 3-5% delle gravidanze gemellari ma che può essere associata a un esito sfavorevole della gravidanza. E’ invece basso il rischio di un processo di coagulazione intravascolare disseminata, che talora si presenta nelle gravidanze singole in seguito alla ritenzione di un feto morto. Le complicazioni fetali dipendono dalla corialità della gravidanza. La morte di uno dei feti in una gravidanza dicoriale si associa alla morte dell’altro feto nel 4% dei casi e a sequele neurologiche nell’1%.

Queste complicazioni sono probabilmente dovute alla maggiore frequenza di parti pretermine, a causa dell’aumento di citochine e di prostaglandine provenienti dal tessuto placentare necrotizzato. Nelle gravidanze monocoriali il secondo gemello ha un rischio di morte che raggiunge il 12% e un rischio di sequele neurologiche del 18%, presumibilmente a causa della transitoria ipotensione che fa seguito alla morte del primo.

Indipendentemente dalla corionicità, i gemelli presentano un rischio di ritardo di crescita più elevato rispetto alle gravidanze singole: in almeno il 20% delle gravidanze dicoriali e nel 30% delle monocoriali,infatti, si riscontra il ritardo di crescita di almeno uno dei feti e la probabilità che il ritardo li riguardi entrambi è rispettivamente pari al 2 e al’8%. In queste gravidanze, poi, il maggiore rischio si riscontra in presenza di una discordanza di peso tra i due feti superiore al 20%, cosa che si presenta soprattutto nelle gravidanze monocoriali e che sembra dovuta o a una divisione non bilanciata della massa cellulare iniziale o alla presenza di anastomosi vascolari tra le placente che determinino uno sbilanciamento del flusso bidirezionale del sangue fetale.

L’incidenza e il tipo di anomalie strutturali fetali varia notevolmente in base alla corionicità: nelle gravidanze dicoriali, in effetti, il rischio per ogni feto non è diverso da quello delle gravidanze singole, mentre nei gemelli monozigotici le anomalie alla nascita sono tra 2 e 3 volte più frequenti. La presenza della stessa anomalia in entrambi i gemelli non è frequente e la si trova nel 10% delle dicoriali e nel 20% delle monocoriali.

Una complicanza specifica delle gravidanze monocoriali è la sindrome da trasfusione gemello-gemello, una condizione che si associa a una elevata mortalità e morbilità perinatale. Causa della sindrome è la presenza di anastomosi vascolari placentari che permettono la comunicazione tra i due circoli feto-placentari: queste anastomosi sono presenti in tutte le gravidanze monocoriali ma la sindrome  si manifesta solo nel 15% dei casi. Nei casi più gravi la sindrome è già evidente alla 16ma settimana di gravidanza con discordanza nella quantità di liquido amniotico e nella crescita fetale, segni di ipovolemia e di insufficienza placentare nel gemello donatore e di ipervolemia e di disfunzione cardiaca nel ricevente. La manifestazione più grave della sindrome è la sequenza da perfusione arteriosa invertita che si riscontra nell’1% delle gravidanze gemellari monocoriali. In questa sindrome il gemello donatore perfonde un gemello acardico attraverso anastomosi ombelicali artero-arteriose. Almeno il 50% dei gemelli donatori muore per insufficienza cardiaca congestizia o a causa del parto pretermine, conseguenza del polidramnios. Tutti i gemelli perfusi muoiono a causa di malformazioni multiple associate.

La nascita dei gemelli, soprattutto dei gemelli identici, ha sempre destato curiosità e meraviglia ed ha prevalentemente rappresentato un simbolo della dualità dell’uomo, risvegliando un timore che è ben presente entro tutti noi, che è quello della nostra ambivalenza. Nell’immaginario collettivo i gemelli, pur fisicamente indistinguibili, si prestano a ritrarre simbolicamente le nostre contraddizioni interne e sono immagini viventi della lotta che siamo costretti a fare per affrontarle, lotta segnata dalla dolorosa necessità di abbandonare una parte di noi perché l’altra possa sopravvivere. Non può essere dunque un caso il fatto che nella mitologia compaiano così spesso eroi gemelli, identici ma con funzioni antagoniste, uno buono che cerca di costruire e creare un mondo favorevole all’uomo, l’altro malvagio, che cerca di ostacolare la funzione civilizzatrice del fratello. Questo antagonismo, la evidente volontà di fare del male, all’altro deve per forza avere molte motivazioni, una delle quali potrebbe benissimo avere a che fare con gli esempi che ho citato, le molte condizioni cliniche nelle quali abbiamo a che fare con un gemello che nuoce all’altro gemello, sequenze di perfusione arteriosa che si manifestano anche nei rapporti sociali e affettivi.

E’ bene anche ricordare poi il fatto che esiste una terza categoria di gemelli, oltre a quelle che tutti citiamo comunemente, che sembra ispirare ancora di più la fantasia dei costruttori di miti.
Qualcuno ricorderà che recentemente una signora americana, dopo aver guardato bene in faccia i suoi gemelli e prima ancora che qualcuno s’insospettisse, ha candidamente ammesso che uno solo dei due era figlio del marito, l’altro era il risultato di una scappatella,della quale evidentemente la signora si riteneva incolpevole o quasi. I giornalisti hanno curiosato tra gli ostetrici, per sapere quanto fosse eccezionale quell’evento, e saputo che eccezionale proprio non era si sono ritratti quasi annoiati.
Alcuni giornalisti hanno chiesto anche a me informazioni su questo minuscolo scandalo, che, chissà perché, tutti ritenevano inusuale, e mi sono accorto di perdere non solo la loro attenzione ma anche la loro stima quando mi sono messo a spiegare i dubbi sulla superfetazione e le certezze sulla superimpregnazione, attenzioni e stima che non ho riguadagnato nemmeno quando ho cominciato a raccontare i miti che esistevano in proposito e che mi sembravano dimostrare che la nascita di gemelli, uno solo dei quali assomigliava al marito mentre l’altro era il ritratto sputato del lattaio, dovevano averla osservata anche i nostri antenati.

Dunque, a pensarci bene ci sono tre, e non due, categorie di gemelli: quelli identici, omozigoti; quelli che vengono definiti  gemelli fraterni, gli eterozigoti; e poi quelli imparentati solo tramite mammà, non riesco a trovare una definizione che li identifichi geneticamente. Quanti ce ne siano stati, di questi ultimi, non c’è dato saperlo: il sospetto non alberga nella maggior parte delle famiglie, tanto che una ricerca francese che dimostrava che un numero spropositato di secondogeniti non è figlio del cosiddetto padre legittimo fu considerata una via di mezzo tra una provocazione e un pesce d’aprile.

Medici e filosofi, inoltre, erano molti bravi a trovare giustificazioni plausibili per le evenienze più strampalate. Giovanni Battista Mutinelli, proprio quel filosofo che pubblicò a Verona, alla fine del Settecento, un bel volume sulla “Generazione dell’uomo” riteneva che a imprimere le fattezze sul volto del concepito fossero pensieri anche casuali “dell’ultimo momento”. Immaginate: una brava signora ha un rapporto con il suo signor marito, è sabato sera, tutto procede come nella tradizione. Ma proprio nel momento fatale, ecco che la signora –sapete come son fatte le donne – viene fulminata da un dubbio : ha detto al lattaio di portare un mezzo litro di latte in più? Un attimo, un rapido pensiero che il buonsenso vorrebbe poter ignorare, ma un attimo che lascia il suo segno, perché il bambino nascerà con la faccia del lattaio.

Nel libro di Ostetricia sul quale ha studiato la maggior parte dei medici italiani, il Pescetto, la superfecondazione è definita come la fecondazione di due oociti distinti a breve distanza di tempo; certo negli animali, questo fenomeno è stato documentato, dice l’Autore, anche nell’uomo. Molto più scettico è lo stesso Pescetto nei confronti della superfetazione,  la fecondazione di un oocita dopo che nell’utero si è già impiantato un altro embrione: esistono impedimenti ormonali (le donne in gravidanza non ovulano) e meccanici (come potrebbe mai passare uno spermatozoo attraverso un utero già completamente occupato da una gravidanza?) che fanno pensare che si tratti solo di fantasie e i casi riportati a dimostrazione del contrario potrebbero avere tutti una seconda spiegazione.

Sono andato a cercare gli stessi termini nei miei vecchi libri: Il Baudeloque –la mia edizione è del 1793 – non ne parla, o per lo meno io non sono riuscito a trovarne traccia. Ciò mi ha sorpreso, perché quasi un secolo prima Nicolas Venette (De la generation de l’homme, Claude Jolie, Cologne, 1696) aveva scritto che la superfetazione è un fatto comune e si era spinto a citare un caso, apparentemente noto a tutti gli abitanti di La Rochelle, relativo a tale Mademoiselle Louveau, finito malamente, ma non per questo meno impressionante.

Nei testi più vicini a noi, da quello di Mangiagalli a quello di Williams, si dicono più o meno le cose che racconta Pescetto, con qualche maggiore indulgenza alle esemplificazioni veterinarie (un tale ha visto una cavalla ingravidata nel giro di poche ore da un cavallo e da un asino, cose così). Ho infine scoperto che i Romani, proprio perché consideravano la possibilità di una superfetazione attribuivano la primogenitura all’ultimo nato, ritenendo logico che il primo dei due che era stato concepito avesse trovato asilo nella parte più profonda dell’utero. Qualcuno mi potrebbe rimproverare  il fatto che non ho inserito,in questo elenco delle possibili varietà dei gemelli, anche quelli che non hanno alcun grado di parentela tra loro, conseguenza di tentativi di speculazione che occorrono di tanto in tanto tra i nostri colleghi che, all’estero, si occupano di “dono del grembo”, un modo piuttosto ipocrita di definire gli affitti d’utero. Ma affittare un solo viscere per accontentare due differenti coppie, mi sembra molto semplicemente una porcheria, tra l’altro piena di incognite e di rischi, e ho preferito non parlarne se non per dire che esiste.

Ben altre sono le soddisfazioni che uno si può togliere andando a cercare nella mitologia.  Così sono andato a colpo sicuro a cercare nel bellissimo libro di G,J.Witowski (Histoire des Accouchements chez tous le Peuples, quattro volumi editi nel 1887 da G.Steinheil a Parigi) e ho avuto solo l’imbarazzo della scelta.

Conoscevo già, è vero, la maggior parte dei miti, ma quello di Alcmene, lo ammetto, non me lo ricordavo proprio. Dunque, è la storia del tebano Anfitrione, quella che ha ingrassato i teatranti per secoli, da Aristofane a Plauto e a Molière. Il sire Anfitrione s’en va-t-en guerre, e il suo ultimo saluto alla moglie Alcmene è così caloroso che lei rimane incinta. Come parte lo sposo, arriva a Tebe Giove lo sciupafemmine, affetto da una forma cronica di priapismo non doloroso, che naturalmente ha assunto le sembianze di Anfitrione e che chiede alla ignara sposa di poterla salutare ancora.

Lei, un po’ sorpresa, esita a ricordargli che, in realtà, sono appena usciti dal talamo nuziale e, magari con qualche perplessità, finisce per concedersi ancora: ma ancora più sorpreso sarà  il piccolo Ificle, che sta crescendo nel suo grembo, e che si ritrova a dover dividere il già angusto spazio con Ercole, il figlio di Giove, che probabilmente avrebbe bisogno di due uteri tutti per sè. Si infuria, naturalmente, Giunone, che non crede nell’innocenza di Alcmene e la maledice – il furore dei potenti è sempre generatore di disgrazie – condannandola a non poter partorire. Dopo sette giorni di sofferenze inaudite Alcmene invoca Lucina, la dea protettrice delle ostetriche, che subito giunge per assisterla.

 Ma – e questa è una delle versioni del mito – Lucina è incline a rispettare i potenti e si schiera con Giunone invece di favorire il parto, lo impedisce usando mezzi molto particolari,per i quali preferisco citare alla lettera Ovidio, relatore fedele, nelle sue Metamorfosi, di questi eventi:

Utque meos audit gemitus, subsedit in illa
Ante fores ara ,dextroque a poplite laevum
Pressa genu, digitis inter se pectine junctis
Sustinuit nixus; tacita quoque carmina voce
Dixit; et inceptos tenuerunt carmina partus.

E come udì i miei gemiti si sedette su quell’altare, lì fuori della porta, e si mise col ginocchio destro accavallato sul sinistro e le dita intrecciate come una fibbia dentata e così mi impedì di partorire. E pronunciò anche, sottovoce, varie formule magiche, e anche queste bloccarono il mio parto.

Insomma, forse per l’ostacolo del ginocchio che spinge, forse per i mala carmina, il parto si blocca.  Ma – sapete quante cose casuali accadono nei miti – una delle serve presenti, la bionda Galantis, comincia a porsi qualche domanda:  che ci fa quella figura immobile tra le gambe della sua padrona? Così, tanto per vedere cosa succede, le dice: ”Chiunque tu sia, unisciti a noi e ringrazia gli dei, la nostra padrona ha partorito felicemente”. Lucina è sorpresa, non capisce, cessa di borbottare sortilegi, toglie il ginocchio, disgiunge le mani, e voilà, Ercole è nato.

Chi ci rimetterà di più è la povera serva, che Giunone trasforma in una donnola (ho cercato di capire perché proprio una donnola, credo che la scelta sia dovuta al fatto che secondo gli antichi greci era l’unico animale che partoriva dalla bocca, lo stesso luogo dal quale nascono le menzogne):

Si racconta che Galantis scoppiasse a ridere per la beffa fatta alla dea, ma costei, furibonda, l’afferrò per i capelli e la trascinò per terra e mentre lei cercava di rialzarsi le inarcò il corpo e le trasformò le braccia in zampe anteriori di animale . La sua sveltezza originaria restò, il dorso non perse il suo colore, ma la forma non era più quella  di prima; per aver aiutato con bocca menzognera una partoriente, ora partorisce dalla bocca e come prima frequenta le nostre case.

Non sembra proprio che questa sia la stessa Lucina della quale scrive Virgilio nelle Egloghe:

Tu modo nascenti puero quo ferres primum
desinet, ac toto surget gens aurea mundo
Casta, fave, Lucina: tuus jam regnat Apollon.

Al bambino che sta per nascere, a causa del quale cesserà l’età del ferro e inizierà l’età dell’oro per il mondo intero, dona la tua protezione, casta Lucina: già regna il tuo Apollo.

 La storia continua e ci spiega l’origine della via lattea, che ha a che fare con Ercole che si attacca al seno di Giunone con la forza che potete immaginare, talché dalle mammelle della dea sgorga un fiotto di latte… ma sto andando fuori tema. E dovete comunque tener conto del fatto che questa che ho raccontato è una della tante varianti del mito, altre versioni le troverete leggendo Omero, Plauto, Apollodoro, Diodoro Siculo, Luciano, Filostrato ed Esiodo, ammesso che sia lui l’autore dello Scudo di Eracle.

Giove doveva avere una predilezione per le ragazze incinta, considerato il fatto che è ancora lui il protagonista del mito di Castore e Polluce. I due gemelli, fratelli di Clitennestra e di Elena, erano conosciuti come i Dioscuri, i figli di Giove, cosa che era vera solo per Polluce, concepito dal dio quando costui aveva assunto le sembianze di un cigno per sedurre Leda. Castore era invece un mortale qualsiasi, figlio di Tindaro, e il fatto di essere gemelli era assolutamente casuale, il cigno e Tindaro avevano copulato con Leda a poca distanza di tempo. Protagonisti di molte avventure (ad esempio la caccia al cinghiale nel paese di Calidone e la spedizione degli argonauti) i due fratelli erano inseparabili e l’amore che provavano l’uno per l’altro era proverbiale: quando Castore, il gemello mortale, fu ucciso dai figli del re Afareo in una disputa riguardante i suoi buoi, Polluce divenne inconsolabile e chiese a Giove di poter morire. Così Giove decise di ricongiungerli, concedendo a entrambi di vivere un giorno negli inferi e un giorno sul monte Olimpo (o li trasformò in una costellazione, non è ben chiaro, i “media”dell’epoca erano poco credibili).

Non è detto però che tutti i gemelli che incontriamo nei miti più antichi si amino e si rispettino, anzi: direi che in gran parte delle leggende e dei racconti che hanno a che fare con la vita degli dei e degli essere sovrannaturali, che possiamo considerare come archetipi di gran parte delle teorie sull’animo e sulla natura dell’uomo, prevalgono liti e conflitti, quasi sempre mortali, quasi sempre stupidi, quasi sempre incomprensibili, a meno che….

Dalle isole del Pacifico ci arriva, solo per fare un esempio, la storia di Parane e Kores, gemelli identici nell’aspetto ma molto diversi nel cuore, semplice, diretto e sincero il primo, taciturno, iracondo e infido il secondo. Entrambi si innamorarono di Eka, la ragazza più bella della tribù, quella che manteneva acceso il fuoco del villaggio, e così decisero di affidare la loro sorte a una gara, avrebbe vinto chi avesse portato a Eka il dono più apprezzato.

Vinse Parane, che subito si appartò con la donna perché la sua vittoria gliene dava il diritto, ma il fratello non accettò la sconfitta, li cercò, li trovò mentre stavano godendo l’uno dell’altro, uccise il fratello colpendolo alla schiena e subito si sostituì a lui nell’amplesso. Così nel corpo di Eka crebbero insieme due gemelli, Mollos, figlio di Kores, carico di energie maligne, che crebbe rapidamente e il cui corpo si coprì di scaglie simili alle selci, e Acabel, generato da Parane, che quando nacque era ancora piccolissimo e quasi trasparente.

Mollos nacque subito dopo di lui e le sue scaglie taglienti dilaniarono i visceri della madre, causando una tale emorragia che il sangue spense il fuoco della tribù, che pure aveva resistito a tante tempeste e a innumerevoli uragani, il fuoco che aveva sempre illuminato la strada di chi aveva cercato giustizia e purificato i cuori di chi aveva combattuto. Tutto il resto di questa saga racconta l’epica lotta tra i due fratelli, separati da un odio senza confini, e di come Acabel riuscì a restituire alla tribù il fuoco del quale era stata privata. Ma il mito non racconta solo violenze e battaglia, c’è una parte tenerissima che riguarda l’educazione di Acabel, che avviene ad opera di due genitori adottivi che consumano la propria vita perché il figlio possa sviluppare la propria nel modo più virtuoso.

Nel mito di Eteocle e Poliinice, figli dell’incestuoso connubio di Edipo e di Giocasta, i due gemelli sono colpiti dalla maledizione del padre che predice che si sarebbero uccisi a vicenda. Dopo essersi accordati di regnare a turno su Tebe, Eteocle e Polinice entrano in aspro conflitto perché il primo non vuole che il fratello gli succeda: animati da un grande odio reciproco i due si massacrano .

Questa vicenda è stata portata sulla scena da Eschilo, nei Sette contro Tebe; lo stesso autore nelle Supplici che racconta la storia tragica di altri due gemelli, Egitto e Danao, figli di Belo, re del più vasto impero africano di cui si sia mai immaginata l’esistenza. La storia è puro grand-guignol: i 50 figli di Egitto debbono sposare le 50 figlie di Danao, ma quest’ultimo convince le sue frugolette a uccidere i mariti nella prima notte di nozze. Sopravvive solo Linceo, cui spetterà l’onere di uccidere Danao e le figlie per poi salire sul trono di Argo.

Ma la genetica non è un’invenzione della moderna scienza: anche Linceo ha due figli gemelli, Acrisio e Preto, che alla morte del padre si disputano il regno, le versioni finali di questa storia sono numerose e non tutte tragiche. Inutile che vi ricordi il mito di Romolo e Remo, presente in tutti i sussidiari delle scuole elementari. Non tutti però sanno che il loro conflitto rinasce con i figli gemelli di Remo, Aschio e Senio, presunti fondatori della città di Siena.

In queste tragedie di famiglia, nei quali molti vedono la lotta per appropriarsi della propria identità, minacciata da un doppio invadente, i gemelli vengono spesso abbandonati dai genitori legittimi e allevati da qualche sorta di animale o da un guardiano di animali. E’ la storia, ad esempio di Anfione e Zeto, figli di Giove e di Antiope, vittime della gelosia di Dirce, che imprigiona Antiope e la costringe ad abbandonare i gemelli sul monte Citerone, dove saranno raccolti da un pastore. Da grandi, uccideranno Dirce, legandola alle corna di un toro, e conquisteranno Tebe, che sarà poi fonte, almeno per una parte delle versioni del mito, di una profonda frattura tra di loro. Altra storia conflittuale di gemelli è quella di Neleo e Pelia, figli di Poseidone e di Tiro. Poiché Poseidone non voleva rendere pubblica questa sua paternità, costrinse Tiro ad abbandonare i neonati che furono raccolti e allevati uno da una cagna e l’altro da una cavalla. Segue, naturalmente, una sanguinosa guerra di conquista e la solita lotta mortale tra i due.
Chi ha fatto studi classici ricorderà certamente il mito fondativo della chirurgia plastica. La storia racconta come la malvagia Medea convinse un re a farsi uccidere dalle figlie, avendogli prima dimostrato una singolare tecnica di ringiovanimento: fatto a pezzi un montone, lo aveva gettato in un pentolone da quale era uscito un agnello, sfido i chirurghi plastici a ottenere gli stessi risultati. Il re si sottopose al medesimo trattamento estetico, ma i suoi pezzi restarono nel pentolone, a scorno delle sue ragazze. Ebbene questo re era proprio uno dei gemelli, Pelia, che forse meritava questa fine, visto che oltre al fratello aveva anche ucciso un fratellastro, Esone (che era poi il padre di Giasone, il complice di Medea). La mitologia è sempre intricatissima.

Ma Poseidone non usava metodi contraccettivi e anche una sua successiva amante, Ifimedia, gli concepì due gemelli, Efialte e Oto, che la madre portò in dote ad Aloeo, re di Asopia, in Beozia. Questi due fratelli, detti gli aloidi, erano già giganteschi alla nascita e continuarono a crescere in modo sproporzionato, un cubito in larghezza e uno stadio in altezza ogni anno.

A 9 anni avevano già sconfitto in battaglia Marte e lo avevano rinchiuso in una urna di bronzo (lo liberò poi Mercurio); fatti certi, da una profezia, che non sarebbero mai stati sconfitti né da un dio né da un uomo, fecero guerra all’Olimpo e si avventurarono in imprese incredibili. Fu Artemide ad architettare la loro rovina: sotto le spoglie di un cervo bianco, eccitò il loro istinto di cacciatori fino a indurli a una tenzone, nella quale dovevano dimostrare di essere superiori al fratello nel lancio del giavellotto, e nella quale, naturalmente, si uccisero a vicenda. Anche questo mito ha varie versioni finali, tutte però si concludono nello stesso modo,i due gemelli si uccidono vicendevolmente.

Che questi conflitti possano addirittura cominciare nel grembo materno lo afferma un libro molto difficile da smentire, l’Antico Testamento. Rebecca, gravida di Isacco, sentiva i suoi gemelli, Giacobbe ed Esaù, urtarsi violentemente nel suo addome e ne chiese ragione a Geova che le rispose: “ci sono due nazioni nel tuo grembo, e due popoli ne usciranno per disperdersi: uno sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il minore”.

Nella Torà l’Impero Romano viene spesso descritto come il regno di Edom e la diaspora come l’esilio di Edom, un’espressione usata anche per indicare la presenza ebraica nel mondo occidentale. L’identità di Edom viene così descritta dalla Torà: “Ed Esaù risiedette sul monte Seìr, Esaù  è Edom”. Poiché è noto che gli ebrei discendono da Giacobbe, i rapporti tra i gemelli acquisiscono un valore rilevante come fonte di riflessione sulla natura del rapporto tra ebrei e mondo occidentale.

Non procedo, la storia della primogenitura e del piatto di lenticchie la conoscete tutti. Aggiungo solo che l’importanza dei brani che la Torà dedica ai due gemelli è tale che rav Yannai li consultava sistematicamente per trovare indicazioni sull’atteggiamento da prendere quando svolgeva il suo ruolo di ambasciatore degli interessi ebraici a Roma.

Conflitti tra gemelli se ne trovano molti descritti dalla mitologia degli indiani americani. Scelgo tra tante storie quella di Gluskap e Malsum, i quali, raccontano gli Abenaki, cominciarono a litigare fin dal grembo materno.

Litigarono persino su come e quando sarebbero nati. Gluksap, il gemello buono, disse al fratello che non avrebbe cercato scorciatoie, sarebbe nato come tutti.  Malsum, il fratello malvagio, voleva invece che la sua nascita fosse un evento eccezionale e così uscì a forza dall’ascella della madre, uccidendola.

Tutto il resto della leggenda, com’è naturale, riguarda la lotta dei due fratelli, oltretutto quasi invulnerabili, per la supremazia. Questa leggenda, con molte variazioni, fa parte della mitologia di molte altre nazioni indiane dell’America settentrionale, e quello che le accomuna è che l’inizio del conflitto è sistematicamente intrauterino. E’ dunque probabile che l’origine del mito sia unica per le molte nazioni americane, ma è più difficile spiegare come miti molto simili si ritrovino, ad esempio, in Melanesia ( dove il gemello buono si chiama To Kabinana e il cattivo to Karvuvu) e in altri Paesi altrettanto lontani.

Dell’odio tra i gemelli che così frequentemente è descritto nei miti e nelle leggende. René Girard, un filosofo francese contemporaneo, ha dato questa spiegazione: “L’identità e la differenza hanno sempre la tendenza a sprofondare nella reciprocità, nell’indifferenziato. In molte comunità arcaiche dell’Africa si uccidono i gemelli alla nascita perché si confonde la loro somiglianza fisica con la reciprocità del conflitto e si teme che i gemelli siano come un germe, un virus che contaminerebbe tutta la comunità creando così una crisi sacrificale. Ci sono molte culture, tra le quali quella dell’antica Grecia, nelle quali si vedono i gemelli in questo modo. Si può prevedere che i gemelli si trovino in una condizione di rivalità non solo sul piano simbolico ma anche su quello reale. L’ispirazione tragica mette sempre in luce le similitudini al di sotto delle differenze e in realtà il significato dei gemelli sta nella mancanza di differenza. La cultura ha talmente timore dell’identità che non ne parla mai…. “

E se si considera quello che accade in natura, bisogna ammettere che l’idea di fondo è proprio quella che i gemelli si odino e si combattano tra loro, non è forse vero che può accadere che uno dei due divori l’altro, cosa è in fondo la sindrome da trasfusione se non una forma di cannibalismo, oltre tutto incestuoso?

Ma tutte le storie dei gemelli, prima o poi, ci propongono, tra i tanti, anche un quesito che ci riguarda: perché siamo diventati quello che siamo? Quanto conta l’eredità, il sangue dei nostri antenati che scorre nelle nostre vene, e quanto contano invece il caso, le circostanze, l’educazione che abbiamo ricevuto, gli amici, la bontà o la cattiveria del mondo?

Mi hanno insegnato a credere poco nella genetica, e so per certo che gemelli identici, monozigoti, cresciuti in famiglie diverse, finiscono con l’avere differenti quozienti di intelligenza: no gusti diversi, non attitudini differenti, quozienti di intelligenza, quelli che più di ogni altra cosa dovrebbero dipendere dal nostro genoma. Ugualmente tendiamo a rifiutare quello che l’esperienza ci mostra, c’è qualcosa nella vita dei gemelli che ci sfugge, qualcosa che non possiamo razionalmente accettare ma che continua ad esistere subito al di là dei confini delle cose non dimostrabili.

E poi, cosa c’entrano le madri? Sopravvive in California, malgrado tutte le critiche ricevute, una sorta di Università prenatale che ha riempito le pagine dei giornali – prevalentemente dei giornali meno seri – con le sue teorie sull’umanizzazione dei feti. Secondo questa Università, esiste una straordinaria diversità tra il grembo delle madri che hanno fortemente desiderato il figlio che ora cresce nel loro ventre e che hanno cominciato ad amarlo prima ancora di essere certe che si stava annidando, che cercava di entrare in relazione con tutti attraverso il suo rapporto con lei, e i grembi tossici, le madri passive, indifferenti o addirittura ostili. Secondo queste teorie passerebbe,dalla madre al feto, una sorta di afflato dell’anima, qualcosa che la biochimica non riuscirebbe mai a scoprire e che la madre potrebbe dosare, indirizzare, trattenere a seconda di un suo imperscrutabile giudizio.

So che non è vero, ma mi fa rabbia che qualcuno lo dica, che qualcuno osi confondere la biologia con la metafisica. Perché c’è un posto per ogni cosa.