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Il “Dono del Grembo” maternità all’inglese2018-12-15T13:33:18+02:00

Il “Dono del Grembo” maternità all’inglese

Febbraio 2007

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Stefano Rodotà ha pubblicato (La Repubblica, 21.2.07) un interessante articolo nel quale esamina i rischi di un possibile (o, meglio ancora, probabile) libero mercato degli oociti, considerato alla luce della decisione del Governo britannico di consentire alle donne di vendere i propri ovuli per finalità di ricerca. Come sempre l’analisi di Rodotà è lucida e completa, ma mi dà l’occasione per qualche commento e per rispondere ad alcune critiche, come sempre più maleducate che obiettive, che mi sono state fatte recentemente. Comincio da queste.

La decisione del Governo inglese, intanto, non è così brutale come può sembrare a prima vista. L’Inghilterra ha già sperimentato con successo la via del “dono del grembo”, che ha consentito ad alcune donne prive dell’utero o affette da malattie incompatibili con una gravidanza di avere un figlio ricorrendo a una “maternità surrogata”, cioè all’aiuto di un’altra donna che ha accettato di custodire e crescere un loro embrione nel proprio utero.

Nella maggior parte dei paesi nei quali questa maternità surrogata è consentita dalla legge, esiste un vero contratto tra le due donne e la definizione , in sé piuttosto volgare, di affitto d’utero è in realtà molto aderente al vero. Le critiche a questa “cessione temporanea di funzioni organiche” sono state naturalmente molto severe, ma non hanno impedito la comparsa, in varie parti del mondo, di organizzazioni commerciali che provvedono a reclutare le madri portatrici e a garantire (con molti limiti) che le parti tengano fede al contratto. In questi caso, come è fin troppo evidente, entrambe le donne pagano un prezzo elevato: molti soldi la madre genetica, un po’ di salute, un po’ di bellezza e un anno complicato da molte possibili difficoltà la madre surrogata, senza contare il rischio concreto di un difficile distacco dalla creatura cresciuta nel grembo. In Inghilterra questo contratto è stato rifiutato e si è preferita la via dell’atto oblativo: può offrirsi come madre portatrice solo una donna che sa dimostrare, con prove insindacabili, di compiere quella scelta per affetto, il che è a dire una parente stretta o un’ amica di lunga data della madre genetica. Non ho esperienza diretta di questi eventi, che restano pur sempre avventurosi e complessi, e so che in alcune circostanze si è aperto un contenzioso tra le due donne, talora per motivi piuttosto volgari, quale può essere la definizione del cosiddetto “mancato guadagno”, l’unico compenso che le madri surrogate possono ricevere: leggo però, in vari articoli pubblicati sui giornali scientifici, valutazioni complessivamente positive e sono tenuto a concludere che la norma funzioni, cosa che non mi sorprende, considero l’Inghilterra un Paese di straordinaria serietà.

Ebbene, la vendita degli oociti è stata organizzata in un modo abbastanza simile: non tutte le donne verranno accettate dai laboratori, che sono obbligati a considerare solo le offerte di quante tra loro hanno precise e documentate ragioni per sottoporsi al prelievo: si richiede infatti, ancora una volta, che il gesto sia, almeno parzialmente, oblativo e motivato dall’esistenza, tra i familiari di chi si propone, di persone ammalate di quelle affezioni degenerative che prime dovrebbero trovare beneficio dalle ricerche sulle cellule staminali per le quali viene richiesta la disponibilità di oociti umani (diabete, Parkinson, Alzheimer) E’ dunque molto improbabile che la “vendita” di questi gameti possa rappresentare una fonte di guadagno per “le povere donne immiserite da anni di comunismo reale “ (così ho letto) e tenderei a non considerare le 250 sterline un incentivo, ma piuttosto un rimborso per mancato guadagno.

C’è, naturalmente, il problema della terapia di stimolo e di rischi connessi con il prelievo, cose vere e concrete che riguardano tutti gli interventi medici e che vanno esaminate con attenzione. Con attenzione, sì, ma, per cortesia, lontano da ogni tipo di fuoco ideologico. E’ bene ricordare che tutte le donatrici di ovuli vengono sottoposte a stimolazioni particolari, definite friendly, che non sollecitano la funzionalità dell’ovaio al di là di una certa misura e che in questi casi la selezione delle donne è certamente molto severa. Ho sentito una ricercatrice affermare che anche queste stimolazioni fanno le loro vittime (cioè hanno un quoziente di mortalità) e non posso che suggerire al suo direttore sanitario di chiedere un’inchiesta della magistratura, chissà quanti decessi la brava dottoressa ha provocato con le sue stimolazioni non friendly … In questi casi le sindromi da iperstimolazione ovarica dovrebbero essere molto vicine a zero, e gli unici rischi ai quali posso pensare sono quelli della breve analgesia necessaria per il prelievo. Qui dovrei aggiungere qualcosa a proposito delle critiche che mi ha fatto il Foglio, ma rinuncio, è un caso senza speranza.

Non ho quindi vere ragioni per non condividere la scelta degli inglesi e immagino pertanto che le varie critiche dovrebbero piuttosto rivolgersi ai molti paesi europei nei quali la compravendita degli oociti è ammessa senza altre motivazioni se non quelle che derivano dall’interesse economico di chi vende e dall’interesse morale (non so trovare una definizione migliore) di chi acquista. Credo ad esempio che in Spagna, un paese che accoglie una grande quantità di coppie italiane che cercano proprio una donazione di gameti femminili, a vendere siano soprattutto le studentesse, considerata la giovane età media delle cosiddette donatrici. In questi casi è certamente violato l’articolo 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, là dove vieta molto chiaramente di fare del corpo umano e delle sue parti una fonte di lucro.
Il nostro Comitato Nazionale per la Bioetica si trovò ad affrontare un problema abbastanza simile molti anni or sono, chiamato in causa da un quesito del Ministero della Sanità. La questione riguardava pazienti italiani che soffrivano di gravi malattie renali e che andavano in India per sottoporsi a un trapianto renale: naturalmente il rene veniva acquistato, solitamente a prezzi stracciati, da un cittadino di quel Paese. La ragione del quesito era peculiare – i pazienti italiani chiedevano un rimborso al nostro Ministero – ma naturalmente la discussione si concentrò prevalentemente sulla liceità della commercializzazione di parti del nostro corpo.

Non ho intenzione di riprendere qui un argomento che è stato frequentemente dibattuto e che comunque richiederebbe molto spazio, ma voglio semplicemente ripresentare una obiezione che, allora, qualcuno di noi ebbe a muovere nei confronti della condanna quasi unanime che l’acquisto di quei reni suscitò. D’accordo sulla condanna se ci riferiamo a chi acquista, ma che dire di chi, invece, offre una parte del suo corpo o la funzione di un proprio organo? In questi casi, è ovvio, la motivazione è quella del bisogno: immagino che vendendo un rene, un cittadino indiano abbia potuto sfamare la propria famiglia, o assicurare un minimo di istruzione per uno dei suoi figli. Ci si dovrebbe perciò chiedere se uno Stato che non è in grado di garantire una vita minimamente decente ai suoi cittadini – ma lo fa solo a una parte di loro – ha il diritto di proibire loro di assicurarsi il minimo vitale e di assicurare un po’ di dignità alla vita della propria famiglia vendendo parte dell’unica cosa della quale, in fondo, sono proprietari, se stessi. Così, mi infastidisce l’idea che una ragazza spagnola venda i propri gameti per acquistare un ninnolo, ma so, e anche voi sapete, che ci sono motivazioni molto più serie di questa e che a queste donne non può mancare la nostra compassione.

Debbo dunque per forza concludere che non mi piacciono le condanne degli atti oblativi e non mi piacciono le critiche delle società degli uomini ricchi ai comportamenti delle società degli uomini poveri. Né mi piace il continuo ricorso al truculento fantasma delle slippery slope, il pendio scivoloso: non condanno questa cosa per se stessa, ma perché aprirà inevitabilmente la strada a scelte sempre più opinabili e infine a opzioni moralmente eccepibili. A me sembra l’ultima risorsa di chi non ha argomenti seri da mettere in campo e, visto l’uso eccessivo che se ne è fatto, mi sembra tempo di lasciarla morire di consunzione, evitando ogni accanimento.