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Rispondo – non lo faccio quasi mai – a una critica2020-03-31T17:31:35+02:00

Rispondo – non lo faccio quasi mai – a una critica

Dicembre 2013

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Non sono per niente simpatico al signor Pier Giorgio Liverani, giornalista dell’Avvenire, e credo che la ragione della sua antipatia stia tutta nel fatto che io non sono religioso e lui si, non ci siamo mai conosciuti, non ho mai parlato male di lui, non so nemmeno per quale squadra di calcio faccia il tifo, altre ragioni che giustifichino questa antipatia non ne vedo. In realtà io non ricambio questa antipatia, anzi: a me Liverani sembra un bravo giornalista, con una ottima vena polemica, molto appassionato alla sua causa (cosa che non guasta per niente) e generalmente molto logico. L’unica cosa che non mi piace di lui, è il fatto che spesso diventa inutilmente maleducato, un fatto che toglie forza alle sue critiche, se fossi in lui abbandonerei certi eccessi perché uno stile un po’ più pacato che, ne sono certo, darebbe ulteriore efficacia alla sua vis polemica: ma questa è una sua scelta, anzi mi scuso per averlo fatto notare, sono fatti suoi.

Il signor Liverani mi critica spesso e io generalmente non rispondo alle sue critiche, come non rispondo alle critiche dei giornalisti, per una ragione molto semplice: i professionisti del giornalismo hanno il coltello per il manico, se gli mandi una lettera di protesta o di precisazioni te la possono rivolgere contro, usandola per accentuare le critiche, se non hai un giornale anche tu sul quale replicare finisci col farti del male da solo. Questo significa che i giornalisti professionisti, quelli soprattutto che gestiscono rubriche sulle quali scrivono ciò che vogliono, dovrebbero gestire con cautela questo loro potere, in nome di un principio generale che tutti dobbiamo rispettare (dovremmo rispettare) che è quello secondo il quale è vietato maramaldeggiare.

Ma non si può chiedere troppo. Questa volta una breve replica alle sue critiche la voglio tentare, perché sono convinto che il signor Liverani non ha letto tutto il mio articolo (sucede anche a me, per la fretta che ormai regola tutte le nostre azioni) e non mi dispiacerebbe se completasse la lettura. Non credo che esista una interpretazione diversa, il signor Liverani è un giornalista troppo bravo per scrivere le cose che riporto qui sotto e che realmente mancano di logica.

Dunque, scrive il signor Liverani:

Anche il prof. Carlo Flamigni, ginecologo noto per il suo impegno a favore di contraccezione,aborto,fecondazione artificiale eccetera, ha detto la sua (l’Unita’, 28 novembre) sulle cure sperimentali a base di cellule staminali al centro di una polemica tra la medicina ufficiale, la folla dei malati e i divieti ministeriali. Flamigni ritiene che si debbano «ascoltare i nostri ricercatori». Opinione non originale ma accettabile.
Da rifiutare invece,alcune sue successive affermazioni. «Debbo cominciare – scrive – con una premessa: la medicina non è una scienza e non possiede verità assolute. È, invece, una disciplina empirica che vive sui consensi. I medici si confrontano con una serie di perplessità molte delle quali […] hanno bisogno di una soluzione razionale». Come fa, allora, Flamigni a sostenere categoricamente, poche righe dopo,che «è disonesto affermare che la cosiddetta pillola del giorno dopo è embrionicida, perché l’Organizzazione Mondiale della Sanità, basandosi sui consensi dei suoi ricercatori, ha detto che non è così». E che è ugualmente
«disonesto affermare che la gravidanza comincia dal concepimento, perché la stessa Organizzazione ha stabilito che l’inizio della gestazione coincide con l’impianto dell’embrione in utero». Nemmeno queste sue sono verità assolute. Al massimo sono pareri. L’Oms è una«organizzazione», non un magistero né una cattedra di filosofia. E difatti basta la sola ragione a capire che, gravidanza iniziata o no, quando un embrione viene espulso, è comunque un aborto.

E anche perché la gravidanza, iniziata o no,è una condizione della donna, che non muta l’essenza autonoma dell’embrione, il quale è tale appena dopo la fecondazione e anche prima e dopo il suo impianto nell’utero. Tempo fa, in un suo libro(“Figli dell’acqua, figli del fuoco”, Ed. Pendragon), il prof. Flamigni aveva ricordato una sentenza di Voltaire: «Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola. Solo gli imbecilli sono sicuri di ciò che dicono».

In realtà il mio articolo diceva qualcosa di più: diceva che

Debbo cominciare con una premessa, banale, ma necessaria: la medicina non è una scienza e non possiede verità assolute, è invece una disciplina empirica che vive sui consensi. I medici si confrontano continuamente con una serie di dubbi e di perplessità, molte delle quali prospettano soluzioni multiple e pertanto hanno bisogno di una selezione razionale: è utile un certo farmaco? Quando si deve considerare irreversibile uno stato comatoso? Quando considerare terminato uno studio sperimentale? Qual è la miglior definizione di un certo evento biologico? In questi casi è prassi affidare la soluzione del problema alle persone considerate più esperte e competenti, le quali decidono tenendo conto di alcune regole considerate adatte a quel particolare dilemma e scelte sulla base del principio di razionalità.

Tutti i medici sono consapevoli del fatto che un consenso comincia a morire dal momento stesso in cui è stato formulato: nuove conoscenze, migliori interpretazioni delle conoscenze in nostro possesso, ci costringeranno in tempi più o meno brevi a modificare la maggior parte dei consensi ,  qualche volta in modo clamoroso, qualche volta in modo impercettibile. Ma fino a quando il nuovo consenso non verrà formulato, l’esistente è la nostra verità, l’unica alla quale possiamo ispirare le nostre scelte. Perché, questo è un altro problema fondamentale, il percorso del medico non è illuminato da una luce che arriva dall’alto e, quando va bene, tutto dipende dalla fiaccola che gli hanno messo in mano quando ha iniziato l suo cammino.
I consensi non servono solo per stabilire se un determinato farmaco è utile o se invece i suoi effetti collaterali sono superiori a quelli ritenuti terapeutici, hanno anche altre finalità: ad esempio regolano la significatività delle esperienze e stabiliscono, solo per fare un esempio, che nessuna sperimentazione ha valore se non viene confermata, elencano le modalità necessarie per considerare utile e onesto uno studio clinico e via dicendo.

Dunque, quello che il signor Liverani ha dimenticato di leggere non mi sembra di poco conto: dice che “Ma fino a quando il nuovo consenso non verrà formulato, l’esistente è la nostra verità, l’unica alla quale possiamo ispirare le nostre scelte.” e non mi pare che questa verità possa essere definita assoluta, ci sono verità che in medicina durano pochissimo (ad esempio quando cominciai a studiare medicina i cromosomi erano 48, se avessi detto all’esame di biologia che erano 46 mi avrebbero bocciato, ma durò poco). Ribadisco dunque che, poiché questa è la verità  (che sia momentanea è del tutto ininfluente), è disonesto contraddirla in nome delle proprie convinzioni filosofiche o religiose.

Oltretutto il signor Liverani molto probabilmente sa che anche se siamo consapevoli del fatto che le nostre verità sono temporanee dobbiamo credere ugualmente in loro e usarle per le nostre scelte, il cambiamento dei consensi deriva proprio, almeno nella maggior parte dei casi, dall’osservazione critica (il famoso scetticismo razionale) di questa applicazione. In definitiva, non potendo fare di meglio, i medici affidano alle persone più esperto il compito di elaborare i consensi, e considerano i consensi le loro verità: temo che nessun altro, nemmeno chi è convinto di agire in nome di verità rivelate, possa agire in modo diverso.

Aggiungo una sola cosa: il signor Liverani afferma che l’espulsione di un embrione da un utero nel quale quell’embrione si era impiantato è un aborto, e io sono perfettamente d’accordo con lui; poi, almeno così ho capito, fa riferimento alla pillola del giorno dopo come a una pillola che determina l’espulsione di un embrione dall’utero, e questo non lo può dire, perché tutta la letteratura medica “scientifica” e tutti i consensi affermano che non è così. Se una nuova ricerca scientifica, che contraddica le indagini eseguite dal Karolinska Institutet di Stoccolma, riuscirà a provare il contrario, quella sarà anche la mia verità, che avrà molta importanza etica  per il signor Liverani (ma nessuna per me) e della quale leggi e regolamenti dovranno tener conto, fino a che non ci sarà un nuovo e magari differente consenso.  Temo che con la medicina le cose vadano così, capisco che non gli possano piacere, ma al momento non vedo alternative: l’OMS non ha alcun bisogno di essere una cattedra di filosofia perché non definisce verità morali ma solo momentanee verità biologiche. Ricorderà il signor Liverani che nel Donum Vitae è scritto che la biologia deve stare lontano dalla definizione dell’inizio della vita personale, un problema che spetta alla teologia e alla filosofia; spero che accetti anche la richiesta opposta, che cioè filosofi e teologi stiano lontani dalle definizioni della biologia.

Ultimissima cosa:la citazione di Voltaire è contenuta in un mio libro di racconti, non in un saggio scientifico, queste cose a mio avviso andrebbero scritte.
Ecco, tutto qui: con l’impegno a non rispondere più alle critiche e la sommessa richiesta di essere un po’ meno aggressivo, non ne vale la pena e, mi creda signor Liverani, non le giova.